Crollo di donazioni: a Trieste è allarme sangue
TRIESTE Se nell’anno scorso si era superata l’autosufficienza del territorio, non si può dire la stessa cosa per il 2017. Anzi. Le donazioni di sangue da gennaio a ottobre sono risultate in calo e, come non bastasse, la necessità di globuli rossi risulta in aumento del 5%. Tanto che all’appello manca un 10% di sacche di sangue rispetto al 2016 per coprire il fabbisogno triestino.
A lanciare l’allarme sono stati ieri gli addetti ai lavori che hanno organizzato al Molo IV la 54.ma Giornata provinciale del donatore di sangue. Giovanni Mascaretti, il direttore del dipartimento di Medicina trasfusionale dell’area giuliano-isontina, che comprende l’ospedale di Cattinara, il Maggiore, il Burlo e le strutture sanitarie di Gorizia e Monfalcone, è preoccupato.
«Abbiamo avuto un calo di disponibilità di globuli rossi e plasma, c’è stato un incremento per fortuna di piastrine, ma la diminuzione complessiva del sangue raccolto nei primi dieci mesi di quest’anno è, per l’appunto, pari al 10% rispetto al 2016. Ciò vuol dire 1.810 sacche prodotte in meno di sangue intero e plasma. A cui si aggiunge un altro deficit: tra globuli rossi prodotti e trasfusi c’è un ammanco di 1.265 unità». Questi i dati, dunque, fino a oggi paragonati al 2016. Di questi (ultimissimi) tempi in realtà si segnala anche un leggero miglioramento rispetto al primo semestre 2017, quando la bilancia segnava addirittura un meno 12% in confronto al medesimo periodo precedente. Ma oramai l’anno è quasi terminato e Mascaretti dubita di poter arrivare alle 20mila sacche donate (erano 21.500 unità prodotte a dicembre scorso) del 2016. Per ora, al 31 ottobre, ne sono state accumulate 16.450.
Grazie al criterio della compensazione regionale, per cui si attinge dal bacino più fornito che in questo caso è formato da Udine e Pordenone - che raccolgono di più perché, storicamente, hanno una sensibilità maggiore - i pazienti dell’area Est del Fvg non sono rimasti a secco. «Chi fa di più dà a chi ha di meno», sottolinea Mascaretti. Ma questo non vuol dire che ci si possa adagiare sugli allori. «Dobbiamo diventare autosufficienti, perché le altre due province non solo riforniscono qui ma anche altre regioni italiane, peggiori anche del nostro territorio di riferimento. Vorremmo anche noi partecipare a questa compensazione, ma intanto pensiamo a raggiungere il nostro bisogno». Quella del 2016 era stata un’annata molto positiva, la prima dopo tanto tempo. E invece ora si torna al trend negativo passato. Ma perché? Da una parte, sottolinea il medico, «il problema sta nella società, la donazione purtroppo non sempre ha la priorità viste le altre questioni, il lavoro e lo studio ad esempio, per questo bisogna parlare con i giovani». Per riuscire a rimettere in sesto il sistema «si deve lavorare insieme, tra associazioni e ospedali», evidenzia sempre il direttore di Medicina trasfusionale. Questo vuol dire partire dai ventenni, andando in giro per le università, «dove io faccio capire che i giovani sono i primi alleati di infermieri e medici nella cura del paziente».
La mancanza di sangue denotata nel corso di quest’anno potrebbe essere conseguenza anche dell’improvviso ritiro dalla strada dopo 15 anni dell’autoemoteca, non più idonea ai parametri di legge, ma che, come annota Ennio Furlani, storico presidente dell’Associazione donatori sangue triestina, andava incontro alla cittadinanza, stazionando in diversi luoghi della città e intercettando una parte importante della popolazione.
«C’è il pulmino da nove posti che abbiamo e che permette di andare a prendere i donatori e portarli al Centro immunotrasfusionale del Maggiore, ma per un città come Trieste, dove la richiesta di sangue è costante, è troppo poco». Ad oggi solo il 5% della popolazione giuliano-isontina dona. Il problema della mancata autosufficienza riguarda in ogni caso tutto il territorio nazionale. L’appello per attirare nuovi donatori rimane quindi costante, perché di mezzo ci sono le molte persone che necessitano di sangue. È indispensabile per far fronte alle emorragie causate dai traumi, agli interventi in Chirurgia e Cardiochirurgia, ai malati di fegato e alle complicazioni post-parto, per quanto rare. C’è poi tutto il versante della cronicità, tra anemie, chemioterapie e mielodisplasie.
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