Crollo della piscina “Acquamarina”, scatta l’indagine per disastro colposo
TRIESTE. La Procura di Trieste ha aperto un fascicolo per «disastro colposo» sul crollo del tetto della piscina “Acquamarina”. Il procedimento, diretto dal pm Pietro Montrone, al momento è ancora contro ignoti.
Come prevedibile in questa prima fase di indagine, negli ultimi giorni il magistrato ha sentito numerose persone che nel corso degli anni, a vario titolo, sono intervenute sulla struttura: a cominciare dai progettisti, dai responsabili dei lavori e dai manutentori.
Il cedimento è avvenuto mentre all’interno dell’Acquamarina stavano lavorando due operai. Quel giorno, infatti, la piscina era chiusa al pubblico per consentire agli addetti della società veneta “Zara metalmeccanica srl” di sostituire i bulloni del reticolare in acciaio collegato al solaio in cemento armato, vale a dire la copertura poi collassata.
Un intervento di manutenzione indicato da una perizia statica del 2016. I due operai sono riusciti a mettersi in salvo uscendo dall’edificio non appena hanno sentito alcuni scricchiolii provenire dal tetto. Nella struttura erano presenti anche la barista dell’Acquamarina, i fisioterapisti e alcuni pazienti. Tutti sono scappati in tempo.
La perizia tecnica del pm Montrone, necessaria a valutare con precisione le cause dell’incidente, dovrebbe essere affidata a un esperto nelle prossime settimane. Dal palazzo di giustizia non trapela nulla su quali possano essere effettivamente le ipotesi più accreditate. Non ci sono dubbi, comunque, che si sia trattato di un cedimento strutturale. Resta da appurare – e non sarà semplice – se l’origine è un difetto progettuale, di costruzione o, ancora, un deterioramento dei materiali intaccati dai vapori dell’acqua di mare. Andrà inoltre accertato se le verifiche statiche e le manutenzioni sono state calendarizzate e attuate con regolarità da quando l’Acquamarina è stata inaugurata, vale a dire dall’agosto del 2000.
Come detto, il giorno in cui il tetto è precipitato era in corso il ricambio dei bulloni corrosi. Si presume – ma sono, appunto, ipotesi – che l’intervento di rimozione e sostituzione possa in qualche modo aver creato degli squilibri all’intera struttura, tanto da farla cedere. Ma ciò è avvenuto perché l’impianto era già di per sé a rischio? Perché era compromesso dal deterioramento marino? Ci vorranno mesi, probabilmente, per arrivare a una parola ferma sull’incidente.
L’ingegner Fausto Benussi, il professionista che aveva preparato sia il progetto strutturale della piscina, nel ’97-’98, sia la successiva perizia statica del 2016, è convinto che il crollo avvenuto proprio in una giornata di lavori non sia un evento casuale, ma collegato all’intervento sui bulloni; la possibile causa del cedimento, ha dichiarato l’ingegnere in un’intervista al Piccolo, andrebbe ricondotta a uno «squilibrio determinato dalla movimentazione dello smontaggio e rimontaggio dei bulloni». E, ha aggiunto, «la corrosione è stata l’occasione, seppur con ritardo, per metter mano all’impianto. Ma l’operazione di manutenzione si è svolta con procedure non adeguate. Il collasso – aveva precisato – non poteva che essere globale visto che la struttura è di tipo isostatico: significa che se tolgo un pezzettino della catena resistente crolla tutto».
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