Crolla la copertura del tempio di Monte Grisa
Sono cadute pietre per 60 tonnellate. Parte della chiesa resta inagibile, chiusi gli altari degli istriani
Prima gli scricchiolii, poi il boato e la nuvola di polvere. Ieri alle 16.45, più di due terzi della copertura in pietra del lato sud del Tempio di Monte Grisa, si sono staccati dal sottostante calcestruzzo e sono precipitati lungo un lato della piramide, finendo la loro corsa su un avancorpo del santuario. Non ci sono né feriti, né contusi. Ma il collasso della copertura in pietra del peso di 50-60 tonnellate rappresenta l’esatta replica di un analogo distacco avvenuto il 26 maggio del 2004 sul lato opposto della piramide. Nessuno ha ancora messo mano a questo primo crollo, nonostante le tante promesse e rassicurazioni. «Da tempo avevo segnalato che dalla parte apparentemente ancora integra provenivano con sempre maggiore frequenza sinistri scricchiolii» ha affermato ieri monsignor Sergio Vazzoler, rettore del tempio intitolato a Maria Madre e Regina.
Una parte del santuario è inagibile. Non sono raggiungibili tre altari dedicati alle comunità istriane perché l’eventuale crollo della parte di copertura rimasta ancora al suo posto, potrebbe investire i fedeli e l’officiante. Inusabile anche parte del convento: i pompieri giunti dal vicino distaccamento di Opicina hanno transennato la cucina e altri locali di servizio. «Ci arrengeremo in qualche modo» ha affermato il rettore ringraziando la Vergine. «Il crollo si è verificato dieci minuti dopo la conclusione di una Santa Messa. La Madonna ci ha protetto. Quando la copertura si è staccata i pellegrini giunti da Valeriano di Spilimbergo erano già usciti all’aperto. Io ero con loro e il boato del crollo mi ha richiamato alla mente il terremoto del 1976 e quella grande paura. Io ero lì e ho perso molti amici e la casa...»
Il sacerdote ha avvisato telefonicamente il vescovo Eugenio Ravignani. Il presule poco dopo le 17 è salito a Monte Grisa, ha visto il disastro. I tempi per ripristinare in tutta la sua funzionalità l’edificio sacro, non si annunciano nè brevi. Altissimi anche i costi. Prima di iniziare il restauro dei due lati della piramide interessati dai crolli di ieri e del maggio del 2004, sarà necessario rimuovere quella parte della copertura in pietra rimasta in equilibrio precario alla sommità dell’edificio. Un lavoro disagevole e pericoloso che finché non sarà concluso limiterà l’agibilità del tempio. Sui motivi del crollo i tecnici si dovranno esprimere nei prossimi giorni ma non è difficile fin d’ora sostenere che le recenti intensissime piogge hanno appesantito la copertura in pietra e ne hanno provocato il distacco. Inoltre l’alternarsi del caldo estivo e del gelo invernale, con una escursione termica annua spesso superiore ai sessanta gradi, ha lentamente forzato la coesione tra la pietra e il sottostante calcestruzzo. Si sono aperte vie microscopiche in cui immediatamente si è infiltrata l’acqua
Ma non basta. Tutto l’edificio che ha più di quaranta anni di vita, incomincia a palesare gli inevitabili segni del fluire del tempo. Molte finestre non «tengono» più lasciano passare l’acqua. Ieri sui pavimenti in marmo erano strategicamente disposti catini e bacinelle. L’acqua si annida negli anfratti e nella brutta stagione talvolta si trasforma in ghiaccio. Dilatandosi, cera ulteriori problemi alla struttura del tempio. Monsignor Sergio Vazzoler aveva lanciato l’allarme già nei primi giorni del 2006. Un anno e mezzo fa. «Non abbiamo ricevuto un solo centesimo da parte degli enti ai quali ci eravamo rivolti per restaurare il santuario. Il tetto è in gran parte scoperto sul lato che ha perso la protezione esterna e l’acqua si infila dappertutto» aveva affermato chiedendo aiuto alle autorità. In questi 18 mesi il sacerdote ha bussato ad altre porte, ha scritto, ha telefonato, sempre per sollecitare un intervento, fornendo anche una soluzione tecnicamente praticabile.
I due lati della piramide dove si sono verificati i distacchi, potrebbero essere totalmente ricoperti in alluminio e titanio, due metalli ritenuti molti resistenti al tempo e alla intemperie. Ma la Soprintendenza preferirebbe il ripristino dell’aspetto originale, quello voluto dal progettista, l’archietto Antonio Guacci. In altre parole dovrebbere essere usata la pietra bianca del carso. Quella che ieri e nel maggio 2004 si è staccata dal calcestruzzo ed è precipitata per una quarantina di metri, infrangendosi alla base dell’edificio.
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