Crolla la base d’appoggio del Caregon di Staranzano: era la prima struttura, l’unica integra
STARANZANO Ci sono opere costruite dall’uomo, se vogliamo ordinarie, capaci invece di trasformarsi in icone. Addirittura in grado di connotare un luogo per sempre. Così è stato per i Caregoni, le piste da test degli idrovolanti Cant sfornati nella prima metà del Novecento dalla fucina del Crda di Panzano, i Cantieri riuniti dell’Adriatico. E ora che la prima delle piattaforme in cemento armato è crollata, inghiottita dai fondali sabbiosi subito dopo Ferragosto, giorno di massimo affollamento dei lidi, l’orizzonte è diventato crudo e metafisico come un paesaggio di De Chirico. Gli amabili resti, corrosi per sempre dalle incrostazioni saline, dalle sferzate della bora, dagli schiaffi del mare, sono ormai solo l’ombra dei supporti, realizzati lungo un tratto di circa due chilometri, su cui venivano rilevati velocità e tempi di flottaggio dei Cant Zeta, i mitici velivoli costruiti dal 1923 in poi nei cantieri navali. Per tutti, appunto, i Caregoni.
All’occhio le essenziali strutture appaiono infatti come delle grandi sedie e siccome in dialetto la seggiola si definisce carega, in un lampo è nato il Caregon. Nell’immaginario collettivo equivale a mare, vento, vela. È il punto dove i diportisti si ritrovano per fare festa insieme, tra fondali bassissimi e cristallini, dove si posizionano le griglie e ci si gode la frescura del mare fino al tramonto. Una dichiarazione d’amore per il proprio litorale, l’attaccamento dei bisiachi alle sue bellezze naturali.
Ei fu, Caregon. Proprio il primo, quello che appariva più integro dei tre, se n’è andato per sempre. La notizia arriva da un frequentatore, il pensionato triestino, ma da molti anni residente nel Monfalconese, Furio Mantani, 77 anni, appassionato di kayak. Iscritto alla Liburnia, pochi giorni fa con la pagaia si trovava a navigare sui Caregoni quando si è accorto del crollo, che ha fotografato con il suo telefonino. Spiega che, a Ferragosto, il primo Caregon era ancora illeso (al netto degli acciacchi dopo quasi un secolo di vita). «Ero anch’io lì nel giorno di festa, insieme a molte altre persone, e tutto era a posto – racconta –. Del cedimento me ne sono reso conto martedì, quando sono passato e la volta del supporto in cemento era ormai schiantata al fondo».
«È una fortuna che nessuno si sia fatto niente – sottolinea – perché parecchi atleti con il sup e tanti canoisti, tra cui ragazzini durante le lezioni, passavano lì sotto. Un giovane, proprio di recente, aveva attaccato una campanella e così, quando si attraversava il primo Caregon, la si suonava. Un witz». Un po’ come accade anche sulla costiera, dove gli automobilisti si attaccano al clacson sotto la galleria naturale. Da tempo, del terzo Caregon non rimangono che due spuntoni emergenti, in pessime condizioni. Mentre il terzo è sommerso. Il secondo appoggio ha qualche pezzo in più, ma al passar del tempo il deterioramento è via via più pronunciato. Solo il primo, più vicino alla riva, restava a baluardo di una pagina della storia industriale del territorio.
Negli anni diverse persone si sono fatte avanti per chiedere, in qualche modo, una salvaguardia dei Caregoni, comunque un’attrazione per l’area. E forse non è un caso che pure la segnalazione dell’ultimo cedimento sia arrivata proprio da un cittadino, a testimonianza dell’affetto verso questi totem bisiachi.
Sui social esiste anche un gruppo, “Gli amici dei Caregoni”, e recentemente le foto dei festeggiamenti di Ferragosto con le grigliate in acqua sono perfino finite ritratte sulla tela di un’artista australiana e hanno fatto il giro sulle bacheche virtuali. Se non è un’icona il Caregon...
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