Crolla il fiorino ungherese: pesa la dipendenza da Mosca

Stefano Giantin

 BELGRADO   C’è chi festeggia, la Croazia, per aver raggiunto l’obiettivo strategico dell’ingresso ufficiale nell’Eurozona. E chi, in ampie parti dell’Est e dei Balcani, continua a guardare con disdegno la moneta unica. Ma farlo, di questi tempi, ha dei costi non insignificanti. Se ne sta accorgendo in particolare l’Ungheria, Paese che non ha piani a breve termine per introdurre l'euro e che, senza paracadute della moneta unica, sta osservando dalla primavera una grave e preoccupante svalutazione della valuta nazionale, il fiorino, dannosa per l’economia nazionale e le tasche dei cittadini.

I numeri ben descrivono il quadro. A inizio febbraio, bastavano poco più di 350 fiorini per acquistare un euro. Quattro mesi dopo, ne servono quasi 410, con la soglia psicologica e storica dei 400 fiorini per un euro superata ormai da tempo. A fare peggio del fiorino «solo il rublo russo», aveva avvertito già in primavera il portale Hungary Today, segnalando che fra le ragioni dietro le difficoltà della valuta magiara ci sono in particolare «la prossimità con le zone del conflitto» ucraino, ma anche la «grande dipendenza» di Budapest dalle forniture energetiche russe. Ma qual è il problema? A Budapest se ne parla da mesi, con i media più attenti che suggeriscono che l’euro sarebbe stato una panacea, oggi, in Ungheria. Con la guerra che infuria, l’inflazione che morde, le paure sul futuro, gli investitori cercano infatti sicurezza e si rifugiano dietro valute forti – dollaro e franco svizzero in primis – abbandonando invece «quelle di Paesi più piccoli e vulnerabili», aveva ben previsto il Telex magiaro. Sarebbe quella la spiegazione più azzeccata.

Lo ha confermato in questi giorni il portavoce del governo Orban, Zoltan Kovacs, sul “blog” ufficiale dell’esecutivo, About HUngary, citando il ministro per lo Sviluppo economico Marton Nagy. «In un quadro di inflazione in aumento – e non se ne vede la fine – di economie in deterioramento, col rischio di recessione, il dollaro è diventato di nuovo un’oasi sicuro, gli investitori fuggono» da Ungheria, ma anche da Polonia, Cechia, Bulgaria, Romania, tutte senza euro. La ragione, «la follia illogica della recessione artificialmente creata dall’Occidente», il titolo del significativo articolo sul portale governativo, che segnala che gli ungheresi starebbero pagando molto caro il prezzo della guerra. Si tratta di una tesi già nota. «Il fiorino è vittima delle sanzioni di Bruxelles», aveva attaccato già a marzo il ministro delle Finanze ungherese Mihaly Varga.

Nel frattempo, la Banca centrale cerca di “difendere” la valuta, al momento senza troppo successo, in attesa di preziosi fondi Ue ricercati da Orban, il deficit di bilancio cresce, l’inflazione cresce malgrado il tetto ai prezzi di carburanti e cibo. A sorridere? Solo stranieri con portafogli più che capienti, che stanno facendo acquisti di immobili in Ungheria, sfruttando le debolezze della valuta locale, con un +30% di acquirenti interessati, in particolare a Budapest e sul lago Balaton.

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