Croazia, la mano tesa a Kiev scatena l’ira del Cremlino
ZAGABRIA. La Croazia si occupi dei suoi problemi e non venga a dare lezioni a noi: parola del Cremlino. La prima visita in Ucraina del premier croato Andrej Plenkovic si è risolta con una reazione infuriata da parte della Russia, che in una nota pubblicata dal proprio ministero degli Esteri ha preso di mira proprio il piccolo Stato dei Balcani, “colpevole” di aver suggerito una propria soluzione alle controversie tra Kiev e Mosca. Il comunicato russo fa infatti seguito alle dichiarazioni rese da Plenkovic durante un incontro all'Università della capitale ucraina. Durante la sua visita ufficiale a Kiev il premier croato ha affermato che il suo paese «sostiene l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina», non riconosce «l'annessione illegale della Crimea» e si propone anche di condividere con Kiev «l'esperienza croata» tramite l'istituzione di gruppi di lavoro congiunti.
Insomma, la Croazia entra così senza troppa discrezione in quello che da due anni si traduce nel più grande conflitto nelle relazioni russo-europee, con tanto di sanzioni lanciate sia da Bruxelles che da Mosca. L'idea di Plenkovc„ è quella di proporre l'esempio della reintegrazione pacifica della regione danubiana croata come «modello sul lungo termine per la riannessione all'Ucraina di Donetsk, Luhansk e della Crimea», regioni de facto controllate da Mosca. La «esperienza croata» citata dal premier è quella della Slavonia orientale, occupata dall'esercito jugoslavo (Jna) poco dopo la dichiarazione di indipendenza croata (1991) e passata attraverso una missione Onu (Untaes) prima di essere restituita alla Croazia nel 1998, tre anni dopo la fine del conflitto serbo-croato (1991-1995). Un'operazione considerata tra le più riuscite delle Nazioni Unite, dato che il passaggio dell'area alla Croazia avvenne senza scontri, ma un esempio che la Russia non intende assolutamente considerare come un modello da seguire. Al contrario, Mosca ricorda da un lato che gli accordi di Minsk (firmati tra Russia e Ucraina) sono l'unico testo cui far riferimento; e dall'altro che, per quanto riguarda la Crimea, dopo il referendum del 2014, questa va considera a pieno titolo russa.
Il ministero degli Esteri di Mosca ha dunque risposto con durezza invitando Zagabria ad «affrontare più attivamente i suoi profondi problemi interni, legati ai diritti dei serbi e delle altre minoranze etniche in Croazia, invece di perdere tempi in futili speculazioni». Per il governo russo, «la mossa (di Zagabria, ndr.), confermata ufficialmente dal primo ministro croato Andrej Plenkovic nella sua visita a Kiev, è oggetto di grande preoccupazione». Inoltre, prosegue Mosca, il "modello" presentato da Zagabria non è di grande valore, dato che «è ben noto che le operazioni militari su larga scala Lampo e Tempesta nel 1995 finirono con l'esodo forzato di circa 250mila serbi dalla Croazia, dove vivevano permanentemente». Insomma, «le raccomandazioni dei "consiglieri" stranieri, che possono creare la pericolosa illusione che uno scenario di guerra sia possibile nel Donbass, non contribuiranno in alcun modo a rafforzare la sicurezza nell'Ucraina sud-orientale».
Inutile menzionare le sorti della Crimea, infine, perché «la questione è chiusa» per Mosca, dato che «la riunificazione della Repubblica di Crimea e di Sebastopoli alla Federazione russa si è basata sulla libera e legittima espressione della volontà degli abitanti della Crimea». Mosca e Zagabria non potrebbero essere dunque più lontane anche nella loro azione diplomatica, con la prima impegnata a rafforzare i suoi legami con la Serbia e la seconda decisa ad aiutare la causa ucraina. Il trend non è nuovo, ma Plenkovic pare deciso a rafforzarlo. L'ex presidente della Commissione parlamentare per l'Ucraina all'emiciclo di Strasburgo ha infatti ricordato a Kiev che «l'Ucraina fu il primo paese membro delle Nazioni unite a riconoscere l'indipendenza della Croazia nel 1991 e questo non lo dimenticheremo mai».
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