Croazia-Bosnia, riesplode la “guerra degli scogli”

ZAGABRIA. Oramai è una storia senza fine. Potrebbe assomigliare molto a quelle opere incompiute tipiche della cultura infrastrutturale italiana se non si svolgesse nei Balcani. Stiamo parlando del ponte di Sabbioncello che la Croazia vuole a tutti i costi per unire al resto del Paese il lembo della regione di Dubrovnik (Ragusa) “tagliata fuori” dalla Bosnia-Erzegovina e dalla baia del porto di Neum.
A quale puntata siamo giunti è impossibile dire perché neanche i più tenaci burocrati tengono più il conto. E l’opera resta una chimera per un’altra contesa territoriale, dopo quella del golfo di Pirano con la Slovenia e sul Danubio con la Serbia. Il fatto rasenta l’assurdo quando, andando a fondo del problema, ti accorgi che tutto è bloccato per una accesissima “guerra” per il possesso di due microscopici isolotti il cui nome già esplicitamente dà un’idea delle loro dimensioni: Veliki e Mali Škoj, ossia Grande e Piccolo Scoglio.
L’ultimo trionfale annuncio dell’apertura del cantiere per la costruzione del mega-ponte (annunci che storicamente arrivano sempre in sospetta epoca pre-elettorale) è di pochi giorni fa. I lavori, secondo il governo croato, partiranno nella primavera del 2016 per essere ultimati nel 2019 quando, a detta dei Banski Dvori, la Croazia sarà fisicamente unita.
Ma, ancora una volta, sembra che si tratterà dell’ennesimo annuncio a vuoto. Sì, perché immediatamente si è fatta viva la Bosnia-Erzegovina. Il ministero del Traffico e Comunicazioni di Sarajevo ha infatti ribadito che prima dell’inizio dell’edificazione del ponte bisogna raggiungere un accordo bilaterale per l’entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite relativa al diritto di navigazione e per definire i confini marittimi. Insomma per la Croazia una sorta di Pirano 2, la vendetta.
La posizione bosniaca è chiaramente contenuta in una lettera che il ministro bosniaco, Slavko Matanovic ha inviato al “collega” croato, Siniša Hajdaš Doncic. Sarajevo vuole garantire libero accesso alle acque internazionali al naviglio che fa scalo nel porto di Neum e su questo vuole precise garanzie “nero su bianco”. Ma non è tutto. Il ponte deve sorgere a una distanza superiore ai 500 metri dal confine croato-bosniaco. E qui tutto si incaglia di nuovo perché sia Sarajevo che Zagabria rivendicano la sovranità dell’apice della penisola di Klek e dei due isolotti Veliki e Mali Škoj.
La Bosnia rivendicandone la sovranità “pretende” in base a questa l’accesso diretto alle acque internazionali. In verità i due defunti presidenti, Franjo Tudjman per la Croazia e Alija Izetbegovic per la Bosnia, avevano raggiunto un accordo sui confini, accordo però che non è mai stato ratificato dal Parlamento di Sarajevo proprio per la rivendicazione di Veliki e Mali Škoj.
Ricordiamo che anche Slovenia e Croazia raggiunsero un accordo per il golfo di Pirano tra i due defunti premier, Janez Drnovšek per Lubiana e Ivica Racan per Zagabria e ancora una volta tutto saltò perché questa volta a non ratificare l’accordo fu il Parlamento croato. A complicare i rapporti bilaterali tra Zagabria e Sarajevo si è messa anche la decisione della prima di costruire un deposito di scorie nucleari a Trgovska Gora proprio sul confine con la Bosnia che è fortemente contraria.
Per la cronaca: il ponte costerebbe (oggi) 385,5 milioni di euro con accesso a finanziamenti europei.
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