Croazia al referendum contro le nozze gay

Via libera dal Sabor al quesito che inserisce nella Costituzione solo l’unione fra uomo e donna. Raccolte 700mila firme
Di Stefano Giantin
20070110 - ROMA - POL - COPPIE DI FATTO: AL VIA ESAME PROPOSTE DI LEGGE AL SENATO. Una coppia gay si tiene per mano, in una immagine del 05 dicembre 2006. Comincia al Senato, in commissione Giustizia, l'iter dell'esame delle proposte di legge sulle coppie di fatto. GIULIA MUIR/ARCHIVIO - ANSA - DRN
20070110 - ROMA - POL - COPPIE DI FATTO: AL VIA ESAME PROPOSTE DI LEGGE AL SENATO. Una coppia gay si tiene per mano, in una immagine del 05 dicembre 2006. Comincia al Senato, in commissione Giustizia, l'iter dell'esame delle proposte di legge sulle coppie di fatto. GIULIA MUIR/ARCHIVIO - ANSA - DRN

ZAGABRIA. È la democrazia, bellezza. Si raccolgono le firme, si supera e di molto la soglia minima di sottoscrizioni richiesto dalla legge, si va al referendum. E referendum sarà, il primo dicembre. Così ha deciso ieri il Sabor, il parlamento croato, che con 104 voti a favore e solo 13 contrari ha dato luce verde alla consultazione popolare promossa nei mesi scorsi dal network di associazioni ultracattoliche che fa capo al gruppo “U ime obitelji”, “In nome della famiglia”.

«Festeggiamo, andiamo al referendum», il messaggio dell’organizzazione, che ha ricordato che questa è la «prima consultazione» referendaria nata dal basso, in Croazia. Consultazione che consentirà ai cittadini di rispondere alla domanda chiave, ovvero se «siete favorevoli» all’inserimento nella Costituzione di un articolo che definisce il «matrimonio» esclusivamente come «l’unione tra un uomo e una donna». Se la maggioranza dei votanti, e non c’è quorum, voterà sì, allora sarà esclusa in Croazia la possibilità, per quanto remota, di un’introduzione nel Paese del “matrimonio gay” su modello francese. Un “rischio” che va scongiurato in ogni modo, l’opinione degli oltre 700mila firmatari della richiesta di referendum. Referendum che, suggeriscono critici e comunità Lgbt, va letto tuttavia soprattutto come un attacco politico contro il governo a guida socialdemocratica. Governo il cui impegno per il futuro riconoscimento delle “life partnership” tra gay e lesbiche - la concessione di quasi tutti i diritti di cui oggi godono le coppie etero anche agli omosessuali, meno la possibilità di adozione – è visto come il fumo negli occhi da Chiesa, conservatori e ultracattolici. Impegno che, va comunque detto, non dovrebbe essere giuridicamente messo a repentaglio da una potenziale vittoria del “sì” a dicembre, come non sono minacciate le “coabitazioni non registrate” tra persone dello stesso sesso che vivano insieme da più di tre anni, condizione riconosciuta già da un decennio.

Il fine ultimo della consultazione è solo quello di preservare le basi e le tradizioni della società croata e non è «discriminatorio», l’assicurazione invece dell’opposizione di centrodestra, ieri in parlamento. E sembra condividere questa idea e potrebbe votare “sì” all’emendamento della Costituzione, almeno secondo i sondaggi, il 50% dei croati. Tra questi, sicuramente, il pugno di studenti di Zara che ieri è assurto agli onori delle cronache per aver inscenato una protesta omofobica. «Suonate il clacson se siete contro i finocchi», il cartello innalzato da ragazzi sorridenti di fronte alle auto di passaggio. Ma i dettagli di colore distraggono dalle questioni cruciali, che, nella vicenda referendaria, sono tanti e di più ampio respiro. Intanto quelli procedurali, perché il Sabor ha votato senza che «fosse stata consultata la Corte costituzionale sul quesito referendario», rigettando le petizioni in questo senso di tutte le associazioni Lgbt, di migliaia cittadini, di una 40ina di deputati, anche della maggioranza, e perfino dell’ex premier Kosor, illustra Marko Jurcic, coordinatore del Zagreb Pride. Consulta a cui «ci rivolgeremo direttamente appena la decisione» sul referendum diverrà ufficiale per verificare la costituzionalità del quesito, promette subito dopo, anche perché in gioco ci sarebbe molto di più del referendum. La consultazione, e l’esautorazione della Consulta, rappresenterebbe infatti solo l’alba di una campagna nazionalista e populista che usa «strumenti democratici» come il referendum «per attaccare i diritti umani», non solo quelli di gay e lesbiche, ora nel mirino, ma in futuro forse anche quelli delle donne, magari sull’altrettanto delicato tema dell’aborto, o delle minoranze.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo