Cristicchi “modificato”: «Sbagliato inserire Pahor»

Falchi e colombe tra gli esuli. Lacota: non andremo a teatro. Codarin: lasciare libertà E Spadaro: ok citare quanto subito dagli sloveni, ma lo scrittore è un nazionalista
Di Gabriella Ziani

Altro che pace per sempre. Si sfiorano esuli e sloveni e scoppia una guerra civile di parole. «Anche se danno fastidio a qualcuno, qui troverete soltanto fantasmi che ormai non fanno paura a nessuno». Così canta Simone Cristicchi in “Il cimitero degli oggetti”, uno dei brani di “Magazzino 18”, lo spettacolo che da martedì a domenica porterà sul palcoscenico del Teatro Stabile Rossetti con la regia del direttore Antonio Calenda (ieri irraggiungibile) il “museo suo malgrado” delle masserizie degli esuli custodite nel Magazzino 18 di Porto vecchio. Ma la malinconia dei testi, l’omaggio a “una grande tragedia d’Italia”, “storia che appartiene a tutti” (sempre Cristicchi, autore di testi e musica) è ormai finita in una piazza acida di rabbie e risentimenti, dopo che Paris Lippi, Pdl ex An, ex presidente del Rossetti e oggi vicepresidente, ha denunciato la presenza nel testo di frasi di Boris Pahor sull’incendio dell’hotel Balkan nel 1920. Il presidente dell’Unione degli istriani, Massimiliano Lacota, ieri ha ritirato l’autorizzazione a usare in scena foto dell’esodo che erano state prestate e annuncia che lui stesso e molti iscritti diserteranno il Politeama «pur avendo il biglietto»: «Sabotaggio. La comunità slovena è riuscita sabotare il primo spettacolo sull’esodo realizzato da un giovane sensibile ed equilibrato». Roberto Menia, già parlamentare An-Pdl: «Non si uccida lo spirito delle masserizie. Inserire a forza testi o premesse è operazione che sa di regime, un minculpop alla rovescia e rischia di ricreare lacerazioni e fratture».

Lo stesso mondo degli esuli e della destra si divide però in falchi e colombe. Piero Delbello denuncia che «ogni volta che si parla dell’esodo bisogna aggiungere un “ma” pregiudiziale per cui i drammi degli italiani d’Istria hanno sempre una diminuzione in quanto mera conseguenza dei danni causati dai fascisti agli sloveni». La stessa cosa sostiene la deputata Sandra Savino (Pdl): «Parrebbe quasi che i fatti delle foibe e dell’esodo tenuti nascosti agli italiani per quasi mezzo secolo debbano sempre pagare un dazio storico alla sinistra». L’inserimento della frase incriminata (che poi non si sa se andrà in scena) viene per di più attribuita a Milos Budin, presidente del Teatro Stabile e storico esponente della comunità slovena, tanto che il consigliere comunale ex An e ora Fratelli d’Italia Claudio Giacomelli chiederà con una mozione al sindaco le sue dimissioni. «Le mie dimissioni? Richiesta scontata» risponde ironico Milos Budin. Che nel merito però non ride affatto: «Lo spettacolo è stato visto da qualcuno? La vicenda del Balkan era scritta fin dall’inizio. E io, ribadisco, non sono drammaturgo, né regista, né direttore artistico, né letterato. Come presidente ho solo il dovere di conoscere ciò che il teatro produce, e sono convinto che questo spettacolo contribuirà a riportare quel clima che nei decenni siamo riusciti a costruire consolidando l’unità, superando e lacerazioni di un difficile passato. Da qui a dire che faccio “l’autore”, ce ne passa».

Cristicchi aveva fatto leggere il testo a tanti per evitare errori e omissioni, oggi Renzo Codarin, presidente dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e della Federazione degli esuli esce dal coro: «L’autore ha accolto un suggerimento costruttivo, una bambina leggerà in sloveno una poesia sul campo di concentramento di Arbe dove dal 1942 furono rinchiusi sloveni, e va bene. Ma Pahor non va bene, perché ha sempre avuto parole molto negative sugli esuli. L’autore è in gamba, Budin subisce ancora pressioni molto forti dalla sua parte etnica, ma in definitiva - dice Codarin - bisogna lasciare libertà: Cristicchi porterà in scena il testo che ha deciso, coloro cui non piace se ne scriveranno un altro». Paolo Rovis (capogruppo comunale Pdl) taccia Budin di essere «un ex dirigente del Pci per il quale il Muro di Berlino e i regimi totalitari dell’Est non sono mai caduti».

A metter luce prova Stelio Spadaro, esponente del vecchio Pci triestino e oggi storico attento e “pacifista”: «A Trieste siamo capaci di capire e aver presenti tutte le parti della nostra storia - premette -, non abbiamo più bisogno di dividere i buoni dai cattivi. Non è male premettere al testo sull’esodo notizie su quanto subìto dagli sloveni. Ma - aggiunge - non era Pahor l’autore giusto. Perché Pahor è nazionalista, e noi siamo contro ogni nazionalismo e separatismo».

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