Crisi Flex, colpo di scena: FairCap pronto a farsi da parte e a cedere il sito produttivo

Il fondo tedesco cede alle pressioni di Ministero e Regione per vendere a un investitore che punti alla re-industrializzazione. Gli interessi di israeliani e cechi

Diego D'Amelio
Manifestazione all'esterno della Flex Foto Massimo Silvano
Manifestazione all'esterno della Flex Foto Massimo Silvano

Le pressioni del ministero delle Imprese e della Regione convincono (o meglio costringono) FairCap a farsi da parte. Lo stabilimento Flex di Trieste potrebbe cambiare proprietà nel giro di qualche mese, dopo che il fondo tedesco lo ha rilevato soltanto a fine gennaio dalla multinazionale americana dell’elettronica. La nuova riunione del tavolo ministeriale di crisi si conclude con un colpo di scena, preparato in realtà sotto traccia nelle scorse settimane, quando nel corso di incontri riservati le istituzioni hanno chiarito a FairCap l’indisponibilità a garantire ammortizzatori sociali e sostegno pubblico davanti a una proposta di ristrutturazione senza fondamento.

Non ci sarà il nuovo nome

L’insegna col nuovo nome scelto per la fabbrica (Adriatronics) non verrà mai montata. Oggi, mercoledì 26 febbraio, il fondo ha aperto alla vendita della fabbrica delle Noghere a un soggetto in grado di re-industrializzarla e garantire l’occupazione. L’impegno è a non procedere con azioni unilaterali, nominare un advisor e presentare le eventuali proposte di acquisizione. Non è andato però a buon fine il tentativo di Mimit e Regione di chiudere subito un accordo formale, perché FairCap non ha dato la disponibilità a cedere lo stabilimento gratuitamente, così come l’ha acquisito da Flex un mese fa.

Le manovre industriali

La sterzata rassicura ad ogni modo i sindacati, ma è pure la spia delle dinamiche irrazionali di questa crisi industriale, cominciata per la decisione di Flextronics di chiudere e affidare il lavoro sporco dei licenziamenti a un fondo che vanta nel portafoglio soltanto quattro aziende di piccole dimensioni e che si è probabilmente reso disponibile a far dimagrire l’impianto per poi cederlo nuovamente, realizzando un rapido profitto ed evitando nel contempo agli statunitensi di incorrere nei costi imprevisti di una cessazione al buio.Così si spiega che l’acquisto della fabbrica abbia visto FairCap non versare un singolo euro, ma anzi incassare da Flextronics 20 milioni per coprire gli incentivi all’esodo di centinaia di lavoratori e l’erogazione degli stipendi per la parte restante, fino alla successiva vendita. L’ipotesi pare ora scongiurata e fa apparire in tutta la sua inconsistenza la convinzione espressa da FairCap di poter triplicare il fatturato da qui al 2029.

La commessa Nokia perduta

Come noto, Flex ha deciso la vendita dopo aver perso la commessa di Nokia, capace da sola di garantire l’80% del fatturato triestino. La multinazionale aveva definito FairCap il player migliore per rilanciare la fabbrica, dopo aver rifiutato di sedersi a trattare con un fondo d’investimento israeliano reperito dal ministero e un secondo fondo ceco messo in campo da Confindustria. L’operazione ha subito sollevato dure critiche da parte delle istituzioni: la Regione aveva parlato di «macelleria sociale», i funzionari del Mimit di «dilettantismo e arroganza» e Confindustria di «barbarie delle relazioni industriali». Il piano di FairCap non aveva d’altronde alcun contenuto concreto e la società aveva ammesso a denti stretti di prevedere un ampio numero di esuberi.

Due fondi esteri in gioco

I due fondi esteri ora possono tornare in gioco, ma non è chiaro quali siano le intenzioni e le garanzie, né sono emersi i loro nomi. In ballo c’è il destino di circa 350 dipendenti, 302 dei quali coperti dal contratto di solidarietà, la cui copertura scade il 28 febbraio. Data l’indisponibilità di istituzioni e sindacati all’attivazione di nuovi ammortizzatori sociali, FairCap dovrà quindi versare stipendi pieni ai lavoratori e questo rappresenta una pressione a cedere quanto prima, per fare profitto su quanto resterà dei 20 milioni incassati da Flex. Una discussione sulla cassa integrazione comincerà – è il diktat di Mimit e Regione – solo davanti al palesarsi di un nuovo soggetto al tavolo.

La reazione della Regione

Raggiunto il risultato le istituzioni passano a toni più pacati. Per gli assessori regionali Alessia Rosolen e Sergio Bini è stato «le dichiarazioni di intenti che ci sono state presentate non bastano; prima di esprimere qualsivoglia considerazione, intendiamo vedere come si tradurrà concretamente la disponibilità espressa dal fondo». Massimiliano Ciarrocchi, direttore generale di Confindustria Alto Adriatico invita a «lavorare uniti a bocce ferme, condizione che consente a tutti di discutere serenamente del futuro».

La nota dei sindacati

«Tutte le parti – recita una nota congiunta di Fim, Fiom e Uilm – hanno convenuto che la cessione sia l'unica soluzione possibile considerato che Fair Cap è nell'impossibilità palese di presentare un piano industriale all'altezza. Tale percorso dovrà avvenire in un quadro di trasparenza e condivisione con istituzioni e parti sociali che porti a un accordo a salvaguardia del sito e della sua intera occupazione. In tal senso FairCap ha dichiarato che ci sono già due soggetti che hanno manifestato un interesse di carattere industriale». L’Usb sottolinea a sua volta «la prospettiva di un percorso ancora molto lungo e che deve vedere il massimo impegno delle istituzioni nel monitorare i passi di FairCap nella ricerca di un soggetto industriale di primo piano. La mancata firma da parte di Faircap sul verbale odierno deve mantenere altissimo il livello di attenzione».

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