Crisi Burgo, via alla ristrutturazione
TRIESTE. Stavolta non dovrebbero esserci aggiornamenti: l’assemblea dei soci Burgo, nuovamente riunitasi ieri a Milano, ha deliberato all’unanimità - come sottolineano fonti aziendali ufficiose - l’emissione di strumenti partecipativi per 200 milioni e il prestito convertibile di 100 milioni. Insomma, si è proceduto con quanto una settimana fa era stato invece bloccato dai contrasti insorti all’interno di Hgm, la holding della famiglia vicentina Marchi che finora ha controllato il gruppo cartario.
Quindi, avanti con il programma di risanamento patrimoniale e finanziario che, con l’approvazione delle modifiche statutarie, prevede un riassetto della “governance” e un più forte ruolo attribuito alle banche creditrici, che vedono maggiormente esposte Mediobanca (470 milioni) e Unicredit (160 milioni), entrambe già ora azioniste del gruppo. Una riunione del consiglio di amministrazione di Hgm, svoltasi l’altra sera, avrebbe consentito di trovare un’intesa fra i tre rami della famiglia Marchi, posti davanti all’alternativa di dover cedere tutto il potere alle banche, che vantano un credito a medio termine pari a 786 milioni. Sembra che la ragione del contendere fosse la proprietà di un’altra importante controllata, la Palladio Zannini.
L’assemblea, in attesa che gli emettendi strumenti partecipativi precisino il peso delle nuove shares e quanto si diluisca la quota di Hgm, ha confermato come presidente Gerolamo Marchi e come amministratore delegato Paolo Mattei. In un secondo tempo verrà indicato il direttore finanziario che seguirà da vicino l’applicazione del piano.
In linea con le previsioni contenute nel cosiddetto “piano 2020” le cifre del pre-consuntivo 2014, esaminato invece dal cda del gruppo: fatturato a 2,2 miliardi in flessione rispetto ai quasi 2,4 miliardi del 2013; margine operativo lordo in ripresa a 95 milioni rispetto ai 92 del precedente esercizio. Alla luce di questi risultati il vertice Burgo pensa a un 2015 all’insegna dell’efficienza e dell’attenzione alle evoluzioni del mercato, puntando - dicono le fonti ufficiose - a un riposizionamento sui segmenti a maggiore valore aggiunto. Con questa premessa verranno investiti 50 milioni sul “core business” e sulle produzioni più redditizie.
Spontanea la domanda: e gli stabilimenti del Friuli-Venezia Giulia, dove lavorano circa 700 dei 4500 dipendenti diretti della Burgo? I singoli siti produttivi non sarebbero stati presi in esame in questi frangenti e le scelte operative sono in fase di studio. Tolmezzo non ha problemi. Ma, se si parla di adeguamento della capacità produttiva alle dimensioni del mercato e si conosce l’attuale difficoltà del “patinatino” fabbricato a Duino (oltre che a Villorba e a Verzuolo), è lecito capire quale potrebbero essere portata ed esito del piano.
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