Cresce la protesta, in decine di migliaia sfilano a Belgrado contro Vučić

Terzo sabato di manifestazioni, nella capitale serba gli organizzatori promettono che la lotta non si fermerà

BELGRADO La prima aveva fatto parlare di sé, più che per i numeri, per essere il sintomo di un malessere strisciante. La seconda ha confermato che ci sono migliaia di persone insoddisfatte da chi governa, pronte a sfidare neve e gelo pur di dimostrare pubblicamente la propria voglia di cambiare. La terza, l’altra sera a Belgrado, è stata quella più massiccia, sottolineando con numeri crescenti la nascita di un movimento significativo anche se di difficile lettura. Con cui il potere dovrà prima o poi fare i conti. Conti con la gente - gli organizzatori parlano di 35-40 mila in piazza sabato - che continua a scendere in strada nella capitale serba, in particolare per accusare il presidente serbo, Aleksandar Vučić, di aver silenziosamente minato alle basi la democrazia nel Paese balcanico.

Tutto è cominciato tre settimane fa, con una manifestazione indetta da un ampio spettro di partiti d’opposizione – dai nazionalisti di Dveri a gruppi europeisti e di sinistra – per protestare contro l’aggressione a Borko Stefanović, leader di Levica Srbije, la cui blusa macchiata dal sangue dopo l’attacco subito nella città di Kruševac ha dato il la alla protesta «Stop alle camicie insanguinate».

Ma lo scenario, dopo tre weekend di manifestazioni, è cambiato, con richieste sempre più ambiziose. Il nuovo motto delle proteste è infatti «uno di cinque milioni», uno sfottò alle parole di Vučić, che aveva detto di non voler ascoltare alcuna petizione degli “indignados” «anche se foste cinque milioni» in strada, ventilando invece l’ipotesi voto anticipato, per contarsi alle urne.

E la lista delle petizioni è sempre più lunga. La folla, organizzata in particolare dall’Alleanza per la Serbia – eterogenea formazione d’opposizione che vorrebbe offrire un’alternativa alle urne allo strapotere dei Progressisti di Vučić, per scalzarlo – chiede infatti alla Tv pubblica spazi «per l’opposizione», un dovere del «servizio pubblico». Bisogna poi far luce su «chi ha ucciso Oliver Ivanović», leader moderato dei serbi in Kosovo, ha ricordato l’Alleanza. Ma ci sono anche altre richieste. Stop alle violenze politiche. E massima trasparenza per garantire elezioni libere, senza pressioni sugli elettori, offrendo alle opposizioni equo accesso ai media e assicurando controlli e pene draconiane contro il voto di scambio o contro chi fa pressioni sui propri dipendenti per indirizzare il voto. E finché tutte non saranno accolte, le proteste continueranno ogni sabato. A partire dal prossimo 29 dicembre, il quarto appuntamento.

Il muro contro muro è destinato infatti a continuare, a oltranza. Lo confermano le parole di Vučić, che prima della manifestazione di sabato aveva assicurato di non temere i manifestanti. E quelle del ministro degli Interni, Nebojša Stefanović, che ha asserito che in strada non ci sarebbero state più «di 4.200 persone», parole che suonano come una sfida alla piazza. Piazza che «cresce», assieme all’«articolazione delle richieste» e all’espressione «della propria insoddisfazione per come si vive» in Serbia, ha spiegato in Tv il giornalista Djordje Vlajić. Che ha previsto che «è un’energia che durerà» e che potrebbe trasformarsi, nel 2019, in qualcosa di ancora più massiccio. E preoccupante, almeno per chi è al potere. —


 

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