«Credo nell’amore per la ricerca»
Scienza ed etica d’impresa nella «Lectio magistralis» a Udine nel 2005
«Per addomesticare la complessità è necessario un attrattore potente, che è l’amore persistentemente applicato alla ricerca per lungo tempo». È un passaggio della Lectio magistralis che Ernesto Illy tenne il 21 dicembre 2005, quando l’Università di Udine gli conferì la laurea ad honorem in Scienze e tecnologie alimentari. Nella motivazione si sottolineava come Illy rappresentasse «un chiaro esempio di imprenditore che ha pienamente compreso l’importanza e il ruolo cruciale della ricerca scientifica quale strumento essenziale per far progredire un’attività economico-produttiva verso obiettivi di qualità». «Illy con la sua impresa - commentava il rettore dell’Ateneo friulano Furio Honsell - ha concepito un nuovo umanesimo. Nessuno meglio di lui ha dimostrato un grandissimo amore per la conoscenza, riuscendo a tradurla in valore economico e non in semplice profitto».
L’amore per la chimica, del resto, Ernesto Illy ricordava di averlo ereditato dal padre. Perché «la chimica è la scienza della complessità - spiegava - di quella complessità che domina il mondo e anche, checché ne dicano gli studiosi, l’economia». Di qui anche il suo riferirsi al premio Nobel Ilya Prigogine, colui che aveva spiegato «come dai sistemi caotici possa nascere l’ordine. È stato lui a introdurre nella scienza il concetto di libertà di evolvere nella complessità».
È questa la cornice che aiuta a comprendere più a fondo la Lectio che Ernesto Illy lesse a Udine nel giorno della laurea ad honorem. Una Lectio che Illy intitolò «Quello che mi hanno insegnato le piante di caffè». Undici cartelle zeppe di minuziosa conoscenza del settore. Ecco allora presentata la Coffea arabica, «la mia maestra, una signorina nata in Etiopia circa un milione di anni fa». Ed ecco narrato l’incontro con «le mie insegnanti, le piante di caffè Arabica, personaggi straordinariamente complessi, delicati ed esigenti, ma capaci di produrre dei semi con caratteristiche eccezionali sia nella struttura che nella composizione chimica». Partiva da qui l’affascinante racconto della ricerca di miglioramento genetico mirata a produrre un caffè «dalle caratteristiche fuori dal comune che potrà contribuire a deliziare i consumatori della nostra marca nel mondo». Ernesto Illy rievocava con parole quasi affettuose: «Visitando il campo sperimentale» in Brasile «non si poteva non ammirare la fantasia della natura, giacché nei filari di piante omogenee, tutte derivate dalle cellule di una singola foglia, risaltavano le piante mutate».
Il racconto proseguiva con l’affidamento in gestione della piantagione «a una piccola compagnia italiana (indovinate quale...) che dimostrava un interesse a continuare la ricerca». Dal laboratorio, poi, la semenza venne piantata nella regione sudamericana del Cerrado, ma «il flop» fu totale: «La pianta fece capire chiaramente che il territorio prescelto non le garbava affatto». E quando la resa pareva vicina, un ultimo tentativo proposto «da mia figlia Anna soprannominata Blitz» - ricordava Illy - venne fatto nel Centro America di El Salvador. «Le piante dichiararono immediatamente: ”Questo sì che è il mio territorio!”».
Ernesto Illy raccontò questo «esperimento» durato la bellezza di diciotto anni per «esemplificare la sfida che dovranno accettare in un prossimo futuro le aziende di quei prodotti alimentari che, come il caffè, sono fortemente dipendenti dalla qualità dellematerie prime utilizzate»: «Si vada a produrre degli alimenti caratterizzati da aromi e sapori superiori e tipici, capaci di generare un apprezzamento estetico nel consumatore e di aumentarne la percezione del valore».
Del resto, come Ernesto Illy aveva detto una volta, «il marketing che si accontenta di belle immagini senza fondarsi su un contenuto reale è destinato a durare poco. Sottovalutare il pubblico, che contrariamente a quanto si pensa ha una grande capacità di giudizio, è un brutto errore». Un pensiero in cui era sotteso un concetto di «etica di sostanza e non di forma» cui Illy ha sempre pensato, e che ha espresso anche poche settimane fa durante un intervento al Rotary club. «L’etica di sostanza e non di forma - ha detto in quell’occasione - si basa sul senso di responsabilità e capacità di cogliere i desideri e le esigenze fondamentali della società». Vale tanto per l’uomo quanto per l’imprenditore. Ernesto Illy ha citato allora come esempio macroscopico di cecità eco-sociale il ritardo nel cogliere i pericoli dell’effetto serra, perché non collocabili nell’immediato: ma «è necessario - ha concluso - delinare ora nuove regole nell’economia, in modo che possa assumere un volto più umano e soprattutto sensibile alle necessità e al benessere della collettività».
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