Crac Coop operaie, in 5 verso il processo
TRIESTE. Le Coop operaie? Un castello di carte gestito con allegra e spensierata incoscienza. O, meglio, un’enorme bolla che però alla fine è scoppiata provocando un devastante passivo di 37 milioni di euro, a causa del quale sono state svuotate le casse e migliaia risparmiatori si sono trovati con un pugno di carta straccia. In effetti, quella giocata è stata una scommessa - con poche possibilità di riuscire - fatta sulla pelle di 600 dipendenti e delle decine di migliaia di risparmiatori che avevano affidato i loro soldi. Ora di quel trucco contabile - servito di fatto per rientrare solo fittiziamente nei parametri per il prestito sociale - che, al massimo, ha coperto come un belletto solo le rughe ma non ha curato gli organi malati delle Cooperative operaie, i pm Federico Frezza e Matteo Tripani chiedono il conto delle responsabilità penali. E - nella richiesta di rinvio a giudizio - puntano il dito su chi lo ha ideato e gestito e su chi avrebbe dovuto controllare. E contestano anche la bella vita fatta di scampi, branzini e vini di pregio, goduta allegramente da chi amministrava a spese di chi si fidava di loro.
I nomi sono noti. Sono quelli di Livio Marchetti e di Pierpaolo Della Valle, rispettivamente all’epoca dei fatti, finché cioè il giudice non li ha sbattuti fuori, presidente del Consiglio di amministrazione e direttore generale nonché, per un lungo periodo antecedente, presidente del Collegio sindacale. Ma, nell’atto depositato alla cancelleria del gip e notificato ai difensori (gli avvocati Alfredo Antonini, Gaetano Insolera, Marco Bianca, Salvatore e Filippo Capomacchia, Federica Fantuzzi e Giovanni Borgna), compaiono anche i nomi di Rodolfo Pobega, di Tiziana Seriau e di Michela Raffaelli, componenti in periodi diversi del Consiglio sindacale: per la Procura avevano controllato conti e bilanci ma non avevano trovato nulla di anomalo. Sono accusati di non essersi accorti degli ampi squarci - mascherati con plusvalenze fittizie - che sempre più velocemente si formavano nella chiglia della nave che stava affondando.
Da aggiungere che Raffaelli aveva avuto l’incarico nel 2013 appena per nove mesi. Mentre Pobega e Seriau per quattro e tre anni. Parte offesa sono le Cooperative operaie in concordato preventivo, nella persona dell’amministratore giudiziario, l’avvocato Maurizio Consoli. Sono quattro le operazioni contabili sotto la lente.
Erano state accertate dal commercialista Piergiorgio Renier, il consulente nominato dalla Procura, e dai finanzieri della Tributaria. La prima porta la data del 24 dicembre 2010: la vendita, o meglio il conferimento alla Cotif immobiliare Srl (società integralmente posseduta dalle Coop operaie) dell’azienda Coop Trgovine doo. Prezzo: otto milioni e 630 mila euro. Coop Trgovine doo, la società di gestione dell’ipermercato di Fiume, aveva però in corso due mutui per 16 milioni di euro con le stesse Coop operaie ed era dunque indebitata verso le Coop per 9.629.161 euro e la loro unica attività consisteva nella locazione di un immobile ad uso commerciale.
Presidente, all’epoca dei fatti, era Augusto Seghene, già vicesindaco socialista. La seconda operazione riguarda la cessione sempre a Cotif di sette immobili commerciali per la cifra di nove milioni 440 e mila euro. Tre di questi locali erano stati poi concessi in locazione alle stesse Coop operaie per un canone di 291mila euro. La terza è il passaggio sempre a Cotif di un altro stabile per quasi cinqie milioni di euro. Si tratta del complesso in via Alpi Giulie che poi era stato dato in locazione alle stesse Coop operaie per un canone di 333mila euro. L’ultima è la cessione ancora a Cotif per sei milioni e 500 mila euro dell'immobile di via Palatucci, l’ex Ingross. Che poi era stato affittato alle Coop per 333mila euro. Con questo sistema, secondo la Procura, sono stati realizzati i bilanci falsi. Che poi sono serviti per dimostrare di aver rispettato i parametri normativi per il ricorso al prestito sociale la cui entità non doveva superare il quintuplo del patrimonio netto. Ma anche per conseguire un risultato di esercizio - solo apparentemente - positivo. Questa, insomma, era la mano di bianco data ai muri marci. Il sistema cioè adottato da Marchetti e Della Valle per far credere che tutto andava bene. E intanto mentre le crepe sulla chiglia della nave si allargavano sempre più pericolosamente, le due menti del crac si davano alle libagioni.
L’accusa non è solo quella di false comunicazioni sociali e falso in bilancio ma è anche di distrazione. In particolare l’ex presidente nel periodo tra il dicembre 2010 e l’ottobre 2014 ha speso quasi 77mila euro per il pagamento di pasti in numerosi ristoranti in città. In particolare, si legge, era un habituè all’Hosteria alle Bandierette (48mila euro) e anche all’Avenue Sas (8.500 euro) di cui peraltro era titolare suo figlio. Della Valle ha speso quasi 26mila euro tra il gennaio 2012 e l’ottobre 2014 per il pagamento dei conti in vari ristoranti in città. Marchetti è accusato anche di aver dissipato la somma di 170mila euro pari al credito vantato dalle Coop operaie verso la società partecipata Reparto 7 di cui era legale rappresentante Augusto Seghene. Un importo al quale, con incredibile generosità, così si legge, le Coop operaie avevano espressamente rinunciato. Nel bilancio 2011 di Reparto 7, si legge in una nota integrativa al bilancio medesimo, «per l’anno 2011 sono stati rilevati ammanchi sulla merce consegnata alle Coop nella misura dell’8,28 per cento. Con il termine ammanchi si intende la differenza tra il valore della merce consegnata al punto vendita e quello della merce realmente venduta». Insomma, spariva tutto. Anche pomi e insalata.
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