Cosolini consola i suoi «La vita continua»
TRIESTE. Born in the Usa. È un po' scontato citare Springsteen in un pezzo su Roberto Cosolini, suo fan numero uno a Trieste, ma la canzone sul reduce del Vietnam rigettato dal suo Paese è forse la più appropriata per descrivere il sentimento del sindaco uscente di fronte all'esito del ballottaggio. Un voto che, spiega Cosolini verso la fine degli scrutini, ha visto comunque il centrosinistra portare a casa una rimonta nei confronti dello sfidante Roberto Dipiazza: «Purtroppo non è stato sufficiente», commenta.
«La rimonta c'è stata ma non è bastato - riflette nel cuore della notte mentre in macchina si sposta dal Caffè San Marco, dove ha seguito lo spoglio in compagnia di pochi giovani amici, verso il quartier generale del Pd in piazza San Giovanni -. D'altra parte sapevamo che sarebbe stato difficile. Ringrazio tutti quelli che hanno messo uno straordinario impegno in questa campagna». Cosolini confronta poi il dato con il resto del Paese: «I risultati dei ballottaggi in Italia ci dicono che in parte ha inciso un clima nazionale - dichiara -. D'altronde però dobbiamo tener conto del fatto che questo è quello che la città vuole, il voto che ha ritenuto di dare».
Qui sotto il commento sintetico affidato a un tweet, al risveglio dopo la sconfitta:
L'ultima giornata da sindaco di Roberto Cosolini è iniziata come una domenica qualunque. La sveglia nel suo appartamento, poi la colazione e quattro chiacchiere con un amico. Alle 10.30 il voto nel seggio all'istituto Volta. Da lì il candidato del centrosinistra si è spostato in centro dove ha bevuto un bicchiere e salutato alcune persone. Il pomeriggio l'ha trascorso a casa, chiedendosi probabilmente quanti sarebbero andati a votare, sperando in quell'afflusso di voti nuovi che però non è arrivato. Non a sufficienza.
Nel tardo pomeriggio è passato in municipio e poi aperitivo con la figlia in piazza Barbacan, dove è in corso il Bloomsday. A fine giornata il crepuscolo incendia l'orizzonte di un cielo insolitamente terso per la fine di giugno. I turisti scattano foto da piazza Unità mentre Cosolini si concede una passeggiata prima di andare a cena in pizzeria. Da lì, poco prima delle undici, si sposta al caffè San Marco per seguire lo spoglio. Sono le 23, le urne sono appena state chiuse, e il primo pensiero è controllare se è stata pubblicata la scaletta del concerto di Springsteen a Monaco. Poi inizia lo stillicidio dei voti. I primi seggi danno inevitabilmente risultati sballati, è troppo presto per capire. La situazione inizia in seguito a stabilizzarsi, si capisce che i punti di distacco saranno tre o quattro per Dipiazza. Arrivano gli exit poll nazionali: «Se a Torino è andata male è difficile che ce la facciamo anche noi», commenta Cosolini. Al ballottaggio lo spoglio è rapido, i seggi salgono uno dopo l'altro. «Ormai è andata così - dice, arrivato a tre quarti del processo -, non riusciamo a beccarlo più, mi sa».
Cosolini e la sua piccola banda di amici si dirigono verso il quartier generale del Pd. Le facce sono lunghe, lui tira su il morale con il suo modo di fare un po' orso: «Dai non è la fine del mondo, la vita continua. Su col moral». In piazza San Giovanni lo aspettano esponenti e militanti del Partito democratico. Ci si consola un po' a vicenda, si valutano le cause della sconfitta e si guardano i risultati delle singole circoscrizioni.
Ad un certo un punto il sindaco uscente decide di telefonare al vincitore, Roberto Dipiazza: «Gli ho fatto le congratulazioni - racconta -. Lui mi ha detto che è stato un onore battagliare con me, poi uno vince e uno perde. E in effetti è proprio così». Mancano venti minuti all'una quando Cosolini tira le fila, circa 4mila voti di scarto: «Abbiamo fatto comunque 10mila voti in più rispetto al primo turno. D'altra parte quando Fassino perde in una città da sempre di sinistra come Torino vuol dire anche che il momento storico è questo».
Poi il sindaco uscente sale sull'ormai celebre auto con l'adesivo dei Pearl Jam e va in Consiglio comunale, a tener fede al suo ruolo. Difficile trovare parcheggio, dietro al municipio è un labirinto di auto di consiglieri comunali nuovi o uscenti, giornalisti e chi più ne ha più ne metta. Lo attendono le telecamere, i flash, i microfoni. Non ha intenzione di rimanerci tanto, in Consiglio, a chiacchierare. Dal pomeriggio dell'indomani lo attende la sua prima giornata da comune cittadino dopo cinque anni. «Non è detto che sia un male per me, dal punto di vista personale. La botta c'è stata e ci vorrà un po'. Ma una volta smaltita la botta le cose ripartono».
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