Così Trieste torna Porto della Mitteleuropa
Agli operatori storici si sono affiancati grandi protagonisti internazionali. E Roma punta 400 milioni sul futuro dello scalo
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TRIESTE Come ogni città di mare, Trieste è un impasto di storie, popoli e realtà imprenditoriali molto diversi. Seguendo il profilo dei moli, si incontrano i pochi eredi della marineria adriatica asburgica, gli operatori arrivati successivamente e i grandi player internazionali di recentissima acquisizione.
Il porto è nato a servizio della Mitteleuropa e sta tornando a esserne il gateway mediterraneo, dopo la separazione dovuta alla Guerra fredda. La ripresa era già in atto, quando a fine 2018 Trieste è stata illuminata dalle cronache internazionali per il manifestarsi dell’interesse cinese nell’ambito della Via della seta: clamore senza seguiti, perché alla fine è arrivato il meglio della logistica tedesca, non senza che il ministro Stefano Patuanelli ne evidenziasse l’importanza per rinsaldare le relazioni con gli Usa.
Ad aver portato Hamburger e Duisburger Hafen sulle rive adriatiche sono state tuttavia considerazioni trasportistiche: la vicinanza di Trieste al cuore d’Europa, gli alti fondali, le connessioni ferroviarie e le difficoltà che i porti fluviali germanici stanno incontrando per il riscaldamento globale. Sono questi elementi ad aver attratto i soggetti che determineranno il futuro dei prossimi decenni, mentre i potenziali vantaggi del Porto franco restano congelati dalla freddezza del Mef. L’Autorità portuale retta da Zeno D’Agostino spera di centrare anche questo risultato, ma intanto si gode i 400 milioni inseriti prima nel Pnrr e poi nel Fondo complementare: risorse fondamentali per accelerare su espansione delle infrastrutture e transizione energetica, ma soprattutto paragonabili per la prima volta a quelle per Genova, a riprova della scelta strategica che Roma ha fatto sull’Adriatico.
La ceo di Hhla Angela Titzrath ha chiuso in un anno la trattativa con gli imprenditori locali Francesco Parisi e Vittorio Petrucco, rispettivamente erede della casa di spedizioni attiva da due secoli a Trieste e presidente della società di costruzioni friulana Icop. Amburgo ha rilevato il 50,01% della Piattaforma logistica, che ha iniziato con i traghetti ro-ro ed evolverà nel tempo nel secondo molo container dello scalo, con un potenziale da investire di un miliardo. L’opera è divenuta simbolo della riconversione alla logistica di una parte delle aree industriali inquinate, che per decenni hanno simboleggiato il declino triestino. La Ferriera di Servola lascerà spazio a un terminal ferroviario e Arvedi potenzierà il laminatoio, che lavorerà in sinergia con l’impianto siderurgico che Metinvest e Danieli stanno progettando in zona Noghere.
Proprio accanto nascerà la banchina che la società statale ungherese Adria Port sta pianificando, dopo la decisione del governo Orbán di deviare su Trieste gli investimenti diretti alla rivale Capodistria. Tedeschi invece i capitali di Duisport, entrata nell’Interporto giuliano per attivare una catena intermodale che punti da Sud all’Europa centrale, agganciata strategicamente anche grazie all’oleodotto Siot, che copre il 100% del fabbisogno di Baviera e Austria, garantendo al porto il primato petrolifero nel Mediterraneo e quello italiano per volumi di merci.
Ma la crescita si misura in container, movimentati in toto al Molo VII da Trieste Marine Terminal. Antonio Maneschi ha raccolto il testimone del padre e tratta con l’Autorità portuale l’allungamento. La compagnia detenuta al 50% da Msc e To Delta tiene nonostante il Covid, che ha ridotto i volumi soltanto del -0,11%, con 688 mila teu registrati nel 2020. I ro-ro sono invece appannaggio dell’alleanza fra il triestino Enrico Samer, i danesi di Dfds e i turchi di Ulusoy. I traffici di rimorchi da e verso il Mar Nero si collocano fra Riva Traiana, Molo V, Molo VI e banchina Timt, ma Ulusoy e Samer impiegano ora anche la Piattaforma di Hhla e Parisi per ampliare i volumi: un’alleanza inedita nel porto, i cui operatori vogliono cooperare per far crescere la torta invece che litigarsi l’esistente.
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