«Così Trieste rinuncia a essere porto»

Guido Valenzin, rieletto al vertice degli spedizionieri, accusa: «Le istituzioni sono disattente»

«Istituzioni disattente: la città ha rinunciato ad essere porto. Ormai si parla per slogan ma non si affrontano i problemi». Parole e musica di Guido Valenzin (titolare della Tergestea), appena rieletto per il prossimo triennio alla presidenza degli Spedizionieri dello scalo triestino.

Iniziamo dai numeri. Di cosa parliamo quando nominiamo il porto di Trieste e le sue ricadute economiche?

«Parliamo di un formidabile volano dell’economia e dell'occupazione, che genera oltre 300 milioni all’anno di entrate per il bilancio regionale e garantisce alla città circa 14mila posti di lavoro, se consideriamo anche l'indotto: il disinteresse per questa realtà, manifestato da alcune istituzioni, dovrebbe far riflettere».

Intende dire che non si fa abbastanza per lo scalo?

«Trieste sembra aver rinunciato ad “essere Porto”. “La città è il suo porto” è solo uno slogan che viene pronunciato e scritto dalla classe politica tutta, dagli intellettuali e dagli opinion maker, ma poi manca ogni consequenzialità non solo concreta, in termini di investimenti pubblici, ma anche ideale, nel voler conoscere la realtà e affrontare i problemi del porto».

A quali atteggiamenti si riferisce in particolare?

«I cittadini sono stati illusi in una “galleria degli specchi” da cui ora escono frastornati e senza identità. La crisi finanziaria e del credito impone di operare delle scelte, e di farlo in maniera intellettualmente onesta e coerente con la valutazione della realtà. Trieste è famosa come luogo del “non scegliere”, o perlomeno per non mettere un imprenditore nelle condizioni di desiderarla quale luogo dove creare qualcosa di nuovo. Se in tempi di maggior benessere economico questo atteggiamento era già sbagliato e ottuso, oggi può significare la morte del Porto e della città che vi sta dietro».

Ma il Porto come sta di salute?

«Abbastanza bene, ma potrebbe stare molto meglio. Io di questo abbastanza non posso accontentarmi».

Nella sua relazione lei ha puntato il dito contro la classe politica e gli intellettuali, ma cosa pensa dell'operato dell'Autorità portuale?

«L'Autorità portuale lavora tanto e bene e poi bisogna dire che c'è molto dialogo con le associazioni di categoria. Naturalmente si potrebbe fare meglio».

Ma quale dovrebbe essere, in qualità di operatori portuali, il vostro ruolo per cercare quello sviluppo di cui tanto si parla ma che poi sembra sfuggire ogniqualvolta si pensa di poterlo avviare?

«Dobbiamo combattere per riportare Trieste nella posizione che potrebbe e dovrebbe avere nello scenario mediterraneo e internazionale, pur consapevoli del rischio di non trovare rispondenza nella città e nella sua rappresentanza politica. L’obiettivo è quello di avere un porto efficiente, che riesca ad aumentare il livello di soddisfazione dei propri clienti ed essere attrattivo per quelli potenziali. Bisogna diventare leader sul mercato di riferimento e riprendersi il ruolo per il quale il porto è stato creato: una forte capacità di creare nuove attività “a valore aggiunto” e la ripresa di traffici non unitizzati, cioè le merci non stipate in container».

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