Così i No vax fanno pagare il prezzo agli altri
TRIESTE Ormai è invalso l’uso di espressioni complicate per dire cose semplici. Un esempio: la definizione “esteriorità negativa” per indicare gli effetti sulla comunità del comportamento dei no-vax. Si tratta semplicemente di irresponsabilità o – se vogliamo – di una scarsa responsabilità. “Esteriorità” – che brutto termine! – è l’altra faccia dell’individuo, supponendo che “interiorità” sia la faccia che gli appartiene di più e alla quale maggiormente tiene. “Negativa” implica che sia dannosa e che si contrapponga a un comportamento sociale utile, dunque “positivo”.
Stiamo parlando dei no-vax, tanto di quelli che si proclamano tali quanto di coloro che non lo sbandierano però silenziosamente sono contrari al vaccino perché dubbiosi sulla sua efficacia o poco disposti a sottoporsi a una pratica considerata invasiva. E stiamo parlando di tutto ciò che il termine “responsabilità” porta con sé, quale sia il suo ambito, quali impegni comporti per l’esperienza individuale di ciascuno, quali vantaggi etici metta in gioco e quali costi – diciamo così – chieda a ognuno di noi di affrontare per ricavarne un pieno beneficio.
Sciogliendo un poco la strana locuzione da cui sono partito, essa fa intendere che alcuni, o molti, di noi scelgono di non pagare in proprio nessun costo ma di farli pagare agli altri, a coloro con i quali vengono a contatto: se è intollerabile che ciò avvenga per chi lavora nella sanità, ma poi anche nella scuola e in qualunque altra attività pubblica, se è perfino controproducente che si comportino così quanti si occupano della gestione di luoghi – consumo, divertimento, ecc. – frequentabili da ognuno, che aggettivazioni dovremmo adoperare per tutti gli altri che scambiano il loro “no” al vaccino per un gesto di libertà rivendicato come diritto?
Non mi viene in mente nient’altro che l’attribuzione di “irresponsabili”, cioè di persone che non hanno alcuna esigenza di essere responsabili, o che, se la sentono, sono convinti che la responsabilità sia un qualcosa che riguarda solo il privato, una questione personale nella quale nessuno può mettere il naso, qualcosa appunto di simile a un’“interiorità” intoccabile, come se si potesse dire a sé stessi: “La faccenda riguarda esclusivamente me e ho la libertà di agire come voglio”.
Ho la netta impressione che ciascuno di noi, nelle sue frequentazioni abituali, possa annoverare qualcuno che la pensa proprio così credendo di avere tutto il diritto e tutte le ragioni per farlo. Fermiamoci un istante: non è sbalorditivo che circoli abbondantemente un senso comune che afferma, senza ombra di dubbio, che questa è la libertà che ci siamo finalmente costruiti dopo tantissime esperienze storiche illiberali? Peggio: che sarebbe illiberale ogni forzatura esterna che ci impedisca di praticare fino in fondo il nostro diritto di essere liberi per godere del quale abbiamo tanto faticato?
Gli studiosi ci istruiscono sul fatto che da tempo siamo entrati in una società post-liberale, ma questo non significa certo che siamo approdati a un consorzio umano che si identifica con una rete di libertà individuali assolutizzate. Se fosse davvero così, come spesso sembra, non sarebbe neppure un consorzio: non avrebbe nulla infatti che lo rendesse una società, tanto meno una comunità civile di soggetti. È davvero incredibile – se ci pensiamo – che nel 2021 abbiamo ancora bisogno di ricordarci che non c’è responsabilità che non sia un essere responsabile verso gli altri, un rispondere di noi stessi a coloro che vivono assieme a noi.
Più che incredibile, eticamente barbarico. Se guardiamo la nostra condizione un po’ da fuori, vediamo una totale dispersione di individui che reclamano la libertà senza avere la minima idea di che cosa si tratti e che sono uniti esclusivamente dal legame dei consumi. Moltissimi in questi giorni stanno godendosi le loro vacanze, io stesso scrivo queste righe davanti a un mare meraviglioso e accarezzato da una brezza che lenisce il caldo estivo, eppure si tratta di una libertà ultraindividualistica, non gratuita ma a responsabilità zero.
Se ora riflettiamo anche sul fatto che “esteriorità negativa” vuol dire infine che ci interessa poco il prezzo che facciamo pagare a chi ci sta intorno per godere di una nostra egoistica parvenza di libertà individuale, e magari che neppure ci rendiamo conto che questo prezzo esiste e può essere molto alto, allora constatiamo come la parola “barbarie” non sia un’esagerazione. Parliamo tranquillamente con l’amica o l’amico che si dichiarano legittimamente no-vax, senza accorgerci che questo amico o amica, che a noi si dichiara senza alcun senso di colpa, poi si confonderà tra colleghi o conoscenti o comunque tra altre persone, con poco o nessuno scrupolo: magari conversano sui dati più recenti della pandemia osservando e discutendo le variazioni, addirittura stigmatizzando i toni dei media e l’esagerazione dei provvedimenti governativi annunciati per fronteggiare la prevista impennata delle curve. Gente comune esposta al vento di un generico populismo? Sì, certo, però anche intellettuali di vaglia con l’aria di saperla lunghissima che pontificano seduti sulla loro imbarcazione. Non tutti – è ovvio – ci riconosciamo in una simile scena alquanto rabbrividente, ma quanti di noi hanno davvero idee chiare su questo Giano bifronte, da una parte la faccia sorridente della libertà e dall’altra la faccia annoiata della responsabilità?
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