Corsari, medici, imbianchini: i mille volti dei serbi di Trieste

La comunità festeggia da oggi i 150 anni del tempio ortodosso di San Spiridione. Dai fasti dei Gopcevich alle guerre in ex Jugoslavia, storia di una convivenza riuscita 

TRIESTE Vivono qui da oltre 260 anni e fanno parte del Dna della città: sono i serbi di Trieste. Una comunità numerosa, la più cospicua del territorio, che nel corso dei secoli ha cambiato pelle più volte, portando in dote alla città splendidi palazzi e professionisti di gran fama nei campi più diversi (dalla medicina alla giustizia, dalle arti alla finanza), e riuscendo a trasmettere un concetto chiave: la necessità di sfruttare la straordinaria risorsa rappresentata dal mare.

Un popolo, quello serbo, che in città è giunto ad ondate. I primi ad arrivare furono un paio di avventurieri, alcuni dei quali veri e propri corsari con tanto di “patente”, provenienti dalla baia di Cattaro, dall’attuale Erzegovina, dalla Bosnia e dalla Dalmazia. Persone in grado di capire al volo le potenzialità offerte dalla “neu stadt” teresiana. Con loro successivamente giunsero altre famiglie, destinate a dare vita al primo nucleo di quella che diventerà una delle “nazioni” più floride della città emporiale. In un primo tempo gli “illirici” - questa la prima denominazione dei serbi triestini - si unirono alla già presente comunità greca di Trieste, dando vita alla “famiglia” greco-illirica. In seguito, però, si incrinarono i rapporti con i “cugini” ortodossi che, proprio a seguito dello strappo, lasciarono il tempio di San Spiridione, di cui da oggi si celebrano i 150 anni, per aprire un’altra chiesa, tutta loro sulle Rive.

A metà ’800 la comunità serba ha vissuto il momento di massimo splendore testimoniato dalle fortune di famiglie come i Gopcevich, proprietari dello splendido palazzo policromo sul canale, gli Skuljevich e gli Ivanovich che raggiunsero l’apice economico e politico. Poi la pagina buia del primo conflitto mondiale, doppiamente sofferta dai serbi di Trieste, costretti a vivere sotto l’odiata Austria, che metteva a ferro e fuoco la madrepatria. Seguirono decenni di stasi demografica interrotti da una nuova ondata di arrivi dopo il 1976, anno del terremoto in Friuli. A trasferirsi in massa furono operai, manovali e artigiani, pronti a darsi da fare nella ricostruzione post sisma. Un’ondata simile a quella registrata durante le guerre nella ex Jugoslavia degli anni ‘90, con un’ulteriore accelerata nel 1999, anno dell’attacco della Nato alla Serbia.

Fin qui il passato. Ma nel presente quanti serbi vivono a Trieste? «Nel 2010 eravamo quasi 10 mila - conferma Zlatimir Selakovic, vicepresidente della Comunità serba, in Italia dal 2000 -. Oggi siamo molti di meno». Secondo l’Istat al 31 dicembre 2018 i serbi erano 4 mila 421 di cui 2 mila 175 maschi e 2 mila 246 femmine, provenienti principalmente da Pozarevac e dintorni. Numeri che fotografano unicamente i residenti: contando invece anche le persone che qui hanno solo il domicilio, secondo i vertici della Comunità, si sale almeno a quota 6 mila.

In ogni caso il calo è evidente: «La crisi – specifica Selakovic - ha portato tanti serbi che vivevano a Trieste a cercare fortuna in altri Paesi o a ritornare in Serbia. C’è poi un altro dato che “pesa” sui numeri. Molti serbi che vivono qui da anni si sono visti riconoscere lo status di cittadino italiano e questo ha contributo, in un certo qual modo, a “falsare” i dati finali. Io stesso sono serbo, ma risulto italiano e vengo conteggiato come tale». Una condizionzione identica a quella di Rascia Saijc da Loznica, in Italia dal 1998, che prepara il “pane santo” per la comunità.

A conferma del radicamento in città ci sono alcune storiche associazioni come Skud Pontes-Mostovi, molto attiva a livello culturale in particolare nel ballo folcloristico europei, e Vuk Karadžic, più presente in ambito sportivo, soprattutto calcistico. È proprio questo sodalizio ad organizzare ogni anno il torneo di Spasovdan, che richiama migliaia di persone da tutto la regione.

Ma la presenza radicata dei serbi in città si nota anche da altri dettagli. Si può dire a ragione che a Trieste non esista casa in cui, almeno una volta, non sia entrato un serbo, sia come imbianchino, elettricista, idraulico, domestica o semplice amico. Ma come viene percepita oggi la comunità? «Di noi dicono che siamo una delle comunità meglio inserite nel tessuto sociale cittadino - sottolinea Selakovic -, anche perché dopo secoli di convivenza nascono amicizie e molti matrimoni misti. In tanti casi parliamo di persone che sono a Trieste dagli anni '70, oggi sono in pensione e si sentono triestine a tutti gli effetti».

La città, insomma, è per i serbi qualcosa di speciale e di familiare. Come familiare è la figura di padre Rasko Radovic, punto di riferimento religioso della comunità, a Trieste dal 1990: «Qui ho tanti amici, alcuni dei quali di religioni differenti; del resto Trieste è un’isola felice di tolleranza e integrazione». A rivolgersi a lui, tra l’altro, non sono solo fedeli serbo-ortodossi, ma pure molti triestini. «Perché? Per liberarsi dai malefici - conclude Radovic -. Ma quando me lo chiedono, io faccio un’unica cosa: dico una preghiera a San Giovanni Crisostomo». —
 

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