Coronavirus, il ritorno in patria degli emigrati: rimesse dall’estero a rischio crollo

I denari inviati dai lavoratori sono uno dei pilastri economici dell’area: in Bosnia secondo la Bers valgono l’11% del Pil
epa08247697 A Volkswagen employee works on a Volkswagen ID.3 car in the assembly line during the production of the electric car at the Volkswagen (VW) vehicle factory in Zwickau, Germany, 25 February 2020. The Volkswagen annual press conference will be held on 17 March 2020 in Wolfsburg. EPA/UWE MEINHOLD
epa08247697 A Volkswagen employee works on a Volkswagen ID.3 car in the assembly line during the production of the electric car at the Volkswagen (VW) vehicle factory in Zwickau, Germany, 25 February 2020. The Volkswagen annual press conference will be held on 17 March 2020 in Wolfsburg. EPA/UWE MEINHOLD

BELGRADO. In vari Paesi, dalla Serbia alla Romania, sono stati crudelmente additati - anche dalle autorità - come possibili “untori”, perché tornati in massa a casa mentre iniziava a infuriare la pandemia. Ma se non ci sono prove che i lavoratori balcanici emigrati per lavoro nei Paesi dell’Europa occidentale – i cosiddetti “Gastarbajteri” – siano tornati in patria come vettori del virus, un sospetto concreto c’è. Il loro rientro, suggeriscono tanti indizi, causerà comunque problemi serissimi al sistema economico, per l’ipotizzabile crollo delle rimesse dall’estero, uno dei pilastri delle economie regionali.

Lo hanno suggerito, tra gli altri, organizzazioni autorevoli come Fmi, Standard&Poor’s e soprattutto la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), che in rapporti ad hoc dedicati all’Est Europa e ai Balcani ha suggerito che proprio un «probabile calo delle rimesse» spedite in patria dagli emigranti genererà serissime difficoltà alle economie dell’area, oltre a determinare un «ulteriore calo dei consumi».

Non si parla di briciole. Fra i Paesi che più contano sugli euro e i dollari degli emigranti c’è ad esempio la Bosnia-Erzegovina, ha ricordato la Bers, nazione dall’economia ancora debole che conta per «l’11% del Pil» sulle rimesse, una delle colonne «della crescita prima dell’epidemia», come avviene anche in Montenegro e in Macedonia del Nord, dove i risparmi degli emigranti valgono sempre l’11% del prodotto interno lordo. Il quadro è speculare in Albania (rimesse al 10% del Pil).

Ma la situazione potenzialmente più esplosiva è in Kosovo, dove nei dati Bers le rimesse valgono il 16% del Pil. Sono questi, assieme alla Serbia (circa il 9% del Pil), i Paesi balcanici che devono considerare il possibile crollo delle rimesse come «uno dei canali di disturbo» delle economie, assieme a lockdown, imprese chiuse o rallentate, turismo al palo e contrazione di investimenti, ha anticipato Bers.

Ma il problema riguarda anche altri. Lo suggeriscono i dati più aggiornati raccolti dalla Banca Mondiale, che indicano che il peso dei denari inviati dagli emigranti a casa resta un’entrata importante in Croazia (oggi al 4,7% del Pil), Bulgaria (3,6%), Romania (2,9%), Ungheria (2,6%). Percentuali che – sulla base di dati Eurostat – significano miliardi di euro. Quasi tre ne arrivano ogni anno dall’estero in Romania, 2,9 in Serbia, 2,1 in Bosnia, 1,7 in Croazia, almeno 1,4 in Albania.

Di quanto caleranno, quelle entrate? Impossibili a oggi calcoli precisi, ma il crollo potrebbe essere importante. Lo si può intuire dalle stime sulla crescita della disoccupazione nella Ue, che colpirà anche gli stranieri. E dai ritorni a casa dei Gastarbajteri, con centinaia di migliaia di persone rimpatriate in Bosnia, Serbia, Croazia, Romania, Bulgaria. A Belgrado si parla di almeno 200 mila ritornati, ma i numeri potrebbero essere maggiori; a Bucarest di più di 250mila, tanti stagionali rientrati in tutta fretta da Italia e Spagna, regolari rimasti senza lavoro all’estero, autisti, operai, badanti, muratori, e poi i tanti che lavoravano in nero nella Ue, costretti a tornare perché senza protezione sanitaria.

I numeri potrebbero crescere ancora: dipende «da quanto durerà la crisi» economica nella Ue più ricca, ha anticipato alla Deutsche Welle la numero 1 dell’Istituto economico croato, Maruska Vizek. «Tanti bosniaci hanno perso il lavoro e vogliono tornare», ha confermato l’ambasciatore di Sarajevo a Vienna, Kemal Kozarić, parlando di una crisi peggiore del 2008. Che durerà di certo tutto l’anno, nelle previsioni dell’Fmi. Nuova crisi che morderà anche nei Balcani, con un -9% di crescita previsto dall'Fmi in Croazia, -8% in Slovenia, -5% in Romania, -4% in Bulgaria e almeno -3% in Serbia. 


 

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