Cormonese miracolata a Beirut: «Salvata da una sigaretta. Ora la città deve ripartire»

La ristoratrice Veronica Pecorella è sopravvissuta all’esplosione: «Io e la mia famiglia stiamo bene, ma ho perso diverse persone che conoscevo»
Veronica Pecorella nel suo ristorante prima dell'esplosione
Veronica Pecorella nel suo ristorante prima dell'esplosione

CORMONS «Mi sono salvata perché in quel momento sono rientrata nel ristorante per prendere una sigaretta dal pacchetto: in quell’esatto istante è scoppiato tutto, io e la mia famiglia siamo salvi, ma ho perso diverse persone che conosco in questa tragedia». È ancora scossa dall’accaduto Veronica Pecorella, quarantacinquenne di Cormons, che da dieci anni gestisce con il marito Remo, originario delle Marche, un locale in pieno centro a Beirut.

L'ingresso del ristorante della cormonese dopo l'esplosione
L'ingresso del ristorante della cormonese dopo l'esplosione


Per un soffio sia lei che i suoi famigliari, compresi i due figli, si sono salvati dalla tremenda esplosione che martedì ha devastato la capitale libanese. È stato davvero un istante e a salvare la vita di Veronica è stata la decisione di rientrare all’interno del suo “Remomero”, una via di mezzo tra un ristorante ed una galleria d’arte: «Sono entrata – racconta la donna – perché volevo prendere una sigaretta. È in quel momento che è scoppiato tutto. Per fortuna, a parte qualche escoriazione ed uno spavento enorme, sto bene: ma il locale è andato completamente distrutto. Abbiamo passato questi giorni dopo l’esplosione a rimettere tutto in ordine: vogliamo che torni tutto come prima, Beirut deve ripartire».

Veronica entra nel dettaglio: «Ad una prima piccola esplosione è seguita poco dopo quella tremenda che tutti hanno visto e che ha sventrato la città. Più che il rumore, ha fatto impressione la densità nell’aria, che tutto ha travolto. È stato come uno tsunami impossibile da contenere. Io per puro caso non mi sono fatta praticamente nulla: mi sono rifugiata dietro il bancone appena è scoppiato tutto, ma qui è un macello. Il mio locale è nella zona centrale di Beirut: è andato letteralmente in frantumi, vetri dappertutto, un disastro difficile da raccontare, ma nella zona dello scoppio non è rimasto in piedi nulla. E tra gli edifici che non ci sono più, anche un paio di case nelle quali ho abitato negli scorsi anni. Vivo qui a Beirut da un decennio e ho cambiato diverse volte abitazione. Purtroppo conosco anche delle persone che non ci sono più a causa di questo scoppio: il mio ex padrone di casa ed una cara amica purtroppo non ce l’hanno fatta».

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C’è però uno squarcio di luce in questa vicenda: «È rappresentata dai tanti giovani che, dal momento della tragedia, si sono rimboccati le maniche e hanno iniziato subito a ripulire e a rimettere a posto la città – continua Veronica –. Beirut è un luogo che nella storia ha vissuto tanti drammi ma è sempre stato capace di rialzarsi, deve farlo anche ora. Lo vogliamo tutti: la società civile sta già reagendo”». La linea telefonica cade. Riprendiamo il filo del discorso con Veronica dopo qualche secondo: «Il caos qui è enorme, l’elettricità in certe zone della città non c’è più: qui in certi momenti viene meno – evidenzia – ma cercheremo di rimetterci in piedi prima possibile. Beirut arriva da un anno tremendo: a ottobre la rivoluzione ha causato danni enormi, il mio stesso ristorante è stato seriamente danneggiato. Quando avevamo rimesso tutto a posto è arrivato il Covid. Ora questa nuova disgrazia che rischia di essere una vera e propria mazzata» .



Il locale di Veronica, che è arrivata in Libano 10 anni fa per un progetto agricolo al confine con Israele («Mi sono subito innamorata di questa terra») è un inno alla vita: «Valorizziamo ovviamente la cucina e l’arte italiane ma non solo: in questo momento ospitiamo quadri del cormonese De Gironcoli e del goriziano Figar, facciamo scoprire ai nostri clienti il frico, i cjarsons, lo sclopit, mescoliamo le culture. I miei figli crescono con bambini di tutte le etnie, conoscono la differenza tra sunniti, sciiti, drusi, palestinesi perché nella quotidianità è normale qui imparare a capire le usanze degli altri. Beirut è un esempio, deve ripartire: non voglio togliere i sogni ai miei figli». –

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