Coppie di astici e corvine “a guardia” delle trezze FOTO/VIDEO

Coppie di astici a guardia del reef. Potrebbe sembrare il titolo di richiamo per un documentario della National Geographic, invece è uno dei risultati emersi nel corso di “Trecorala”, progetto italo-sloveno che ha indagato le cosiddette trezze, dei particolari affioramenti rocciosi sul fondo del mare che si presentano come delle oasi di biodiversità, grazie a una sorprendente presenza di flora e di fauna al loro interno. Astici, corvine, gronghi e molluschi bivalvi, infatti, sembrano essersi impossessati di queste formazioni arenacee e organogene, trovandovi riparo e le condizioni ottimali per la riproduzione.
Lo studio triennale, iniziato nella seconda metà del 2012, è stato finanziato nell’ambito del Programma per la cooperazione transfrontaliera Italia-Slovenia 2007-2013, grazie al Fondo europeo di sviluppo regionale e ad altri fondi nazionali. La parte scientifica dell’iniziativa è stata coordinata dall’Ogs-Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale e ha visto la partecipazione del Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste, dell’Arpa Fvg, di Shoreline, la cooperativa che gestisce la riserva di Miramare, della Stazione biologica di Pirano (Nib), dell’Università di Nova Gorica, del ginnasio e dell’Istituto nautico di Pirano. Le iniziative sul territorio sono state garantite dal coinvolgimento dei Comuni di Grado, Lignano Sabbiadoro, Marano Lagunare e dell’Associazione trezze di Lignano.
Geologi, biologi, fisici, chimici, italiani e sloveni, hanno condotto delle indagini approfondite su 54 trezze delle 250 presenti nel Golfo di Trieste, evidenziando come ognuna di queste abbia delle caratteristiche uniche rispetto alle altre. Le aree interessate da questi affioramenti rocciosi, diventate oggetto di studio solo a partire dagli anni Sessanta, si estendono fino alle coste marchigiane, anche se la loro fascia di maggiore diffusione è quella che va da punta Salvore alle foci del Tagliamento. Sui fondali antistanti le lagune di Grado e di Marano, in particolare, si è concentrata l’attenzione dei ricercatori, il cui lavoro si è svolto anche a bordo dei pescherecci della zona, per valutare insieme agli stessi operatori del settore l’impatto delle attività di pesca su queste particolari formazioni.
Attrezzi da pesca non idonei, al pari di ancoraggi indiscriminati e di attività subacquee selvagge, infatti, possono rappresentare un pericolo per le specie marine che vi trovano riparo. «Con questo progetto – spiega il direttore della Sezione oceanografica dell’Ogs Paola Del Negro – siamo riusciti a proporre a livello internazionale le trezze come un habitat prioritario, individuando la necessità di predisporre dei piani di gestione transnazionale per queste aree, che tengano conto delle attuali minacce alle biocostruzioni, comprese quelle connesse ai cambiamenti climatici».
Il fondo fangoso e sabbioso che caratterizza l’Alto Adriatico, evidentemente, non può privarsi di queste oasi di vita, autentiche riserve naturali per la produzione e l’insediamento di organismi marini, nelle quali si concentra la flora e la fauna caratteristica dei fondali duri. «Alla luce degli studi effettuati – prosegue Del Negro - , per migliorare la biodiversità delle aree a coralligeno e precoralligeno, si deve procedere con l’introduzione di meccanismi di tutela e protezione degli affioramenti, controllandone l’accesso e favorendo lo sviluppo di una cultura del rispetto basata sulla diffusione della conoscenza».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo