Cooperative Operaie, prestito sociale nel mirino di Bankitalia
Denunciate dalla Banca d’Italia. Segnalate alla Procura come “banca abusiva” (alla vigilia del commissariamento sancito dal Tribunale) proprio per come veniva gestito il prestito sociale. I cui 103 milioni inesegibili da ottobre (frutto dei risparmi di 17mila soci rimasti di sasso, per usare un eufemismo) costituiscono uno degli impegni morali più pesanti che si è preso l’avvocato Maurizio Consoli da amministratore giudiziario.
Nella propria storia recente (quella immediatamente precedente alla destituzione del Cda presieduto da Livio Marchetti, indagato dai pm Federico Frezza e Matteo Tripani per bancarotta insieme al presunto “uomo ombra” Augusto Seghene) pare che le Coop operaie non si siano fatte mancare niente. C’è la possibilità infatti se non proprio la ragionevole certezza (andando a rigor di logica) che nel “background” del grande gruppo cooperativo triestino vi sia per l’appunto anche una denuncia di Bankitalia sul prestito sociale, poiché regolato in alcuni suoi aspetti come si fosse trattato di un deposito bancario quando invece le norme lo vietavano.
I fatti. Sotto Natale, in risposta a una sollecitazione venuta dall’approfondimento giornalistico “Virus” di RaiDue (che si era occupato pure delle Operaie di casa nostra ma che nella circostanza indagava in generale sull’istituto del prestito sociale, che nel sistema cooperativistico nazionale raccoglie 11 miliardi di euro e coinvolge un milione e 200mila soci-risparmiatori) la Banca d’Italia ha inviato una nota in cui si chiamava “fuori” dalle accuse di non aver fatto abbastanza per evitare che il prestito sociale delle cooperative italiane si trasformasse in una sorta di parallelo bancario fuorilegge: non qui ma altrove, ad esempio, il prestito sociale si può ritirare a piccole dosi attraverso un simil-bancomat.
Contemporaneamente, però, Bankitalia ha sparso indizi notevoli: «La Banca - si legge nella nota - non può investigare, né intervenire, né sanzionare in caso di esercizio abusivo dell’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico, che è un reato penale il cui accertamento e repressione sono affidati alla magistratura e alle forze di polizia. Qualora riceva segnalazioni su possibili violazioni delle disposizioni in materia, interessa tempestivamente l’autorità inquirente, come è accaduto nel corso del 2014, in relazione a due segnalazioni ricevute». Due, guarda caso, come le crisi deflagrate giusto da queste parti, ai confini dell’impero cooperativistico, nell’anno appena concluso: Operaie prima e CoopCa poco dopo.
Ebbene, come ha poi scavato ulteriormente il “Fatto quotidiano”, è presumibile - anzi molto probabile - che una di queste due segnalazioni abbia riguardato proprio le Coop operaie. Perché? Un anno fa - rivela sempre il “Fatto” - l’ex senatore abbruzzese dell’Italia dei valori Elio Lannutti, come presidente nazionale dell’associazione dei consumatori Adusbef, fece presente tra le altre cose alla Banca d’Italia che le Coop operaie di Trieste praticavano un servizio di “deposito a vista”, nel senso che consentivano ai risparmiatori di passare all’incasso immediato, agli sportelli di via Gallina per intendersi, di cifre contenute imponendo la prenotazione e il ritorno in seconda battuta solo per quelle più consistenti, contravvenendo alle norme e incappando ipoteticamente nell’ipotesi di reato di “esercizio abusivo dell’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico”.
A gennaio 2014 la risposta di Bankitalia fu generica, sì, ma comunicò ad ogni modo che «questo Istituto ha assunto tutte le iniziative reputate doverose». Il che, tradotto, vuol dire che può essere arrivata alla Procura di Trieste per competenza (la stessa Procura di Trieste che poi ha chiesto e ottenuto ad ottobre dal Tribunale il commissariamento delle Operaie, anche se per onor di verità in quell’istanza prefallimentare non c’è traccia della cosa) una denuncia. Oggetto: abusivismo bancario. Che - nello specifico - è contemplato dall’articolo 130 del Decreto legislativo 385 del ’93, il cosiddetto Testo unico bancario: la violazione del relativo articolo 11 prevede dai sei mesi ai tre anni e dai 12mila ai 51mila euro di multa.
L’articolo 132-bis consente quindi alla Banca d’Italia, in presenza di un «fondato sospetto», di denunciarlo ai fini di un commissariamento. Passo indietro: l’articolo 11 vieta la raccolta del risparmio a «soggetti diversi dalle banche» salvo poi deroghe della delibera del ’94 del Cicr, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, e della circolare del ’99 della Banca d’Italia. Il succo delle deroghe è che le cooperative possono raccogliere i soldi dei soci ma non con strumenti «a vista».
Eppure il vecchio Regolamento del prestito sociale delle Coop operaie, in vigore fino a inizio 2013, all’articolo 18 diceva che «i prelievi possono essere effettuati a vista fino a 2.600 euro», mentre quello nuovo - approvato il 5 dicembre 2012 dal Cda Marchetti e avvallato dall’assemblea dei soci il 23 febbraio 2013 - all’articolo 6 parla di «restituzioni a vista per importi non superiori a quelli per i quali la normativa vigente prevede il pagamento in contanti», di «tre giorni dal momento della richiesta per importi superiori a quello indicato non superiori a 3.000 euro», e di «sette giorni» per cifre oltre i 3.000 euro.
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