Coop operaie, la resa di Marchetti: «Meglio che ci pensi Consoli»

Ritirato il reclamo al Tribunale per tornare alla guida della società: «Non saremmo in grado di condurre le trattative con Coop Nordest e di tentare il salvataggio entro il primo dicembre»
Livio Marchetti
Livio Marchetti

Bandiera bianca. Livio Marchetti, l’ex presidente - esautorato - delle Cooperative Operaie, ha rinunciato a ogni azione giudiziaria per tornare in possesso della propria poltrona al vertice del Cda. Si è messo da parte e ha lasciato il passo all’avvocato Maurizio Consoli, nominato il 27 ottobre scorso dal Tribunale civile amministratore giudiziario delle Coop Operaie. Società che secondo i pm Federico Frezza e Matteo Tripani era (ed è) sull’orlo del fallimento.

La decisione di farsi da parte si concretizza in maniera evidente dall’atto di rinuncia a un atto di reclamo contro il provvedimento nei suoi confronti di sospensione dei poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione emesso dai giudici del Tribunale fallimentare; reclamo che il difensore di Marchetti, il professor Alfredo Antonini, aveva presentato sia al Tribunale civile di Trieste che a quello di Gorizia lo scorso 10 novembre, ritenendo competente quest’ultimo.

Ieri, giorno dell’udienza presieduta a Gorizia dal giudice Giovanni Sansone, Antonini ha depositato l’atto di rinuncia. Bandiera bianca, appunto. Motivo: «Il Cda delle Coop Operaie (esautorato, ndr) ritiene realmente arduo e di difficile realizzabilità, nel brevissimo termine intercorrente fra la data dell’auspicato provvedimento di decisione sul reclamo a quella dell'udienza prefallimentare (fissata per l’1 dicembre. ndr), spostare in capo a sé contatti e trattative condotti dall'amministratore giudiziario, su basi che il medesimo ha indicato essere almeno in parte differenti rispetto a quelle a suo tempo impostate dallo stesso Cda». Come dire: non saremmo più in grado di definire in maniera concreta le trattative in corso con le Cooperative Nordest. Infatti, scrive ancora Antonini per conto di Marchetti, «non può ritenersi neppure certa, ma da verificare, la disponibilità degli interlocutori (privati e pubblici) a proseguire nei contatti già avviati con l'amministratore giudiziario».

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Ma c’è anche un altro elemento che spiega le ragioni del passo indietro di Marchetti nei confronti dell’avvocato Consoli «sulla cui serietà e professionalità nell’operato - si legge - non ha mai avuto modo di dubitare». È quello del prestito sociale bloccato da una delibera dello stesso amministratore giudiziario nel giorno stesso della nomina. Si legge nell’atto di rinuncia di Marchetti: «Riteniamo di dover tutelare anzitutto gli interessi delle Cooperative operaie e dei suoi stakeholders». Ed ecco il motivo, a prescindere da quello che Marchetti ritiene essere stato il suo “licenziamento ingiusto” da parte dei giudici del Tribunale civile: «La “corsa” al ritiro del prestito sociale nell’intero ammontare, provocata dalla pubblica notizia della richiesta di fallimento delle Coop operaie, determinerebbe un onere finanziario insostenibile con gli strumenti gestionali propri del Consiglio di amministrazione, al quale il poco tempo eventualmente a disposizione risulterebbe preclusivo di una richiesta di una procedura concordataria che consenta di riscadenziare gli impegni debitori». Traduzione: anche se il reclamo sull’esautorazione dovesse essere stato accolto, ora più che mai è impossibile guidare la corazzata delle Cooperative operaie senza i poteri speciali propri dell’amministratore straordinario. Consoli in veste di amministratore ha infatti potuto bloccare l’erogazione dei prestiti nell’interesse degli stessi soci, come ha sottolineato più volte. Il cda non avrebbe potuto farlo. E l’emoraagia di soldi sarebbe continuata.

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