Coop, il crollo di un impero ultracentenario sopravvissuto a due guerre mondiali

L’epopea inizia 112 anni fa quando apre il primo spaccio a San Giacomo

TRIESTE. Hanno superato le tragedie e i disagi di due guerre mondiali e di ciò che ne è seguito. Sono sopravvissute a occupazioni militari, cambi di bandiere e sconvolgimenti politici. Ma le Cooperative operaie di Trieste, Istria e Friuli, nate nel lontano 1903, ora devono ammainare la storica bandiera, rinunciando persino al proprio glorioso nome. Le hanno uccise gestioni miopi e poco oculate, silenzi prolungati sulla situazione finanziaria, bilanci immersi in cortine fumogene e nebbie istituzionali. Sette anni fa gli Stati Uniti hanno esportato in Europa la loro crisi finanziaria e per le Cooperative operaie con c'è stato più scampo. Ora i punti vendita sono stati venduti e nuove insegne a breve scadenza prenderanno il posto del nome scelto 112 anni fa dai socialisti triestini, allora sudditi dell’imperatore Francesco Giuseppe. Ecco i momenti e le date più significative di quella antica entrata in scena.

Il primo ottobre 1903 le Cooperative operaie vengono iscritte, come vuole la legge, nel registro dei Consorzi a garanzia limitata e il 28 dello stesso mese ha luogo l’assemblea generale dei soci: viene nominato presidente l’operaio metallurgico Filiberto Lena, mentre l’incarico di direttore è affidato a Valentino Pittoni, capo indiscusso del Socialismo triestino, deputato nel 1907 al Parlamento di Vienna e direttore del quotidiano “Il Lavoratore”.

Gli uffici, in tutto due stanze, vengono ospitati al primo piano delle Sedi Riunite, in via del Boschetto, ora via Stuparich. «La cooperazione tra ricchi e poveri non è possibile - si legge sul giornale diretto da Valentino Pittoni - e allora perché non creare la cooperazione tra i poveri?».

Il primo spaccio viene aperto nel rione operaio di San Giacomo in un magazzino posto al numero 10 di via dell’Istria, affittato per mille corone l’anno. Viene dotato di banconi per la vendita, scansie dove riporre le merci, cassetti per salvare farina, fagioli e piselli secchi. Li realizzano i soci dalla Cooperativa falegnami che accettano di essere pagati in rate settimanali. «L’opinione pubblica non si occupò affatto di questa nuova iniziativa sociale e commerciale: purtroppo neanche la maggioranza dei lavoratori parve interessarsene» scrive Giuseppe Piemontese, storico del Movimento operaio. «Inveterate abitudini troppo pesavano sulla mentalità delle massaie, sobillate dalla livida ironia dei bottegai. Gli stessi operai che avevano sottoscritto le prime 127 quote della cooperativa, dovettero sostenere non facili battaglie in casa per indurre le proprie mogli a fare acquisti allo spaccio. E si capisce: non tutti abitavano a San Giacomo e non tutte le massaie avevano voglia di andare fino in via dell’Istria per fare acquisiti».

Nel 1903 non era stata ancora scavata sotto il colle di San Giusto la galleria Sandrinelli. Non esisteva nemmeno una linea di tram che collegasse la città con quel popoloso rione. Le strade non erano lastricate e quando pioveva, scarpe, stivali e piedi scalzi di bambini e donne affondavano nel fango. Già alla fine della prima settimana di apertura la . situazione dello spaccio di via dell’Istria era fallimentare: mancavano 50 corone per coprire le spese. «I dirigenti delle Cooperative dovettero colmare il pauroso deficit attingendo al proprio borsellino» scrive ancora Piemontese.

L’anno successivo, il 1904, il prezzo all’ingrosso degli alimenti aumentò del 20 per cento. «Spietata fu la concorrenza dei bottegai privati» scrive ancora Giuseppe Piemontese. «Aveva molto peso la questione della vendita a credito, assai diffusa tra la popolazione più povera che se ne giovava per far quadrare il bilancio. Settimanale o mensile, i bottegai la praticavano largamente, nel loro interesse».

Il problema dei pagamenti dilazionati era stato più volte affrontato sulle pagine de “Il Lavoratore”. «Agli operai non sarà facile staccarsi dagli esosi succhioni bottegai. Si comprende perché fanno credito. Oltre a obbligare il cliente ad acquistare da lui tutti i viveri, si crede in diritto di fornirgli ogni porcheria che ha in bottega».

Nonostante le difficoltà nel marzo del 1904 viene aperto un secondo spaccio in via del Belvedere. È un piccolo segno ma significa che la situazione finanziaria sta migliorando. Il terzo spaccio inizia a funzionare a settembre in via del Salice, oggi via Sette Fontane. Valentino Pittoni lavora bene, la sua gestione dei negozi è cauta e oculata. Alla chiusura del bilancio 1906 l’utile supera le ottomila corone e ai cooperatori viene distribuito un dividendo del due per cento. Nel 1907, con l’entrata in vigore del suffragio universale maschile, i socialisti conquistano a Trieste i quattro seggi in palio per il Parlamento di Vienna. È il suggello di una vittoria politica costruita anche attraverso le Cooperative operaie.

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