Conto milionario al doganiere truffatore
TRIESTE False esportazioni e false bollette. Società fantasma. Era una frode a parecchi zeri quella scoperta Trieste nel 2010 dalla Guardia di finanza in un’indagine della Procura. Nel mirino, all’epoca, erano finiti produttori, spedizionieri e autotrasportatori, ma anche un funzionario dell’Ufficio delle Dogane in forza a Fernetti: il sessantaquattrenne Ernesto Rum.
Il dipendente, dopo l’arresto e il procedimento penale per falso e indebita compensazione d’Iva (l’addetto si è salvato in prescrizione), ora è chiamato a risarcire la sua fetta del presunto danno erariale. Non sono spiccioli, ma ben 3 milioni di euro. 3.422.190, 66 per l’esattezza.
È la Procura regionale della Corte dei Conti del Fvg a farsi avanti, con un atto di citazione in giudizio. Per il funzionario, dunque, si apre ora il processo contabile.
L’attività istruttoria dei finanzieri era riuscita a ricostruire, mattone dopo mattone, un imbroglio perpetrato per anni.
Dall’analisi sull’export, in particolare abbigliamento tessile diretto verso l’Europa dell’Est, sono emerse svariate esportazioni fittizie. In buona sostanza, negli anni antecedenti all’avvio delle indagine penale, venivano emesse bollette doganali verso i Paesi dell’Est risultate poi truccate: merci che restavano nel territorio italiano, ma anche vendute in nero. Talvolta erano carichi “fantasma”, di cui c’era traccia solo nella documentazione.
Dove stava il business? Con quelle carte falsificate, le società riuscivano a recuperare l’Iva, attraverso rimborsi e compensazioni delle imposte dovute. Gli inquirenti avevano stimato una frode che superava complessivamente i 12 milioni di euro. La Procura contabile ritiene che 3.422.190,66 siano riferiti a Rum. Il dipendente, addetto all’ufficio verifiche della dogana di Fernetti, stando alle indagini avrebbe omesso i controlli ai quali era preposto. Un complotto.
Tra le bollette contestate spuntano anche alcune relative a merci trasportate da un’impresa italiana di abbigliamento verso un’altra società con sede a Sarajevo, che però non risultava più operativa dal 2005 e che comunque era specializzata nel settore alberghiero. Il traffico truffaldino è stato confermato in parte dalle ammissioni rese in fase di istruttoria da chi, evidentemente, aveva annusato qualcosa. Ecco quanto si legge in una deposizione: «Dalla fine del 2006 ho cominciato a capire che i camion delle esportazioni di tessuti che facevano riferimento alle società (vengono citate le imprese inquisite, ndr) non c’erano. Mi sono insospettito perché i valori delle erano altissimi e perché i camion che giravano qui erano sempre gli stessi».
Anche un altro collega dell’Ufficio delle Dogane si era accorto che c’era del losco. «In quel periodo – viene precisato ancora negli atti – avevo la scrivania vicina a quella di Rum. Vedendo il suo atteggiamento e il modo di lavorare, alla prima occasione mi sono allontanato al lato opposto della sala». Un’indagine complessa, quella scoppiata quasi 9 anni fa: oltre all’analisi delle bollette, gli investigatori hanno ricostruito i percorsi dei tir passando in rassegna i transiti autostradali registrati dai telepass Nel corso del 2005, ad esempio, erano risultate a carico di una ditta di spedizione un’ottantina di bollette di esportazione; a fronte, invece, di appena tre viaggi compatibili con quanto riportato nei documenti. Ora arriva il conto. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo