Consumi, tagliati 300 euro a famiglia. A Trieste più acquisti in offerta e nei discount

TRIESTE. Sono sempre più povere le famiglie italiane, stringono la cinghia su tutti gli acquisti ritenuti superflui e non è cosa rara che rinuncino anche alle spese per la salute. È una fotografia dalle tinte scure quella scattata da Confesercenti sull'andamento dei consumi nel nostro Paese. Negli ultimi sei anni, stima l'associazione che riunisce 350 mila Pmi del commercio e dell'artigianato, il commercio al dettaglio ha perso 7,7 miliardi di euro di incassi, una cifra equivalente a un “risparmio” forzato di 300 euro per famiglia.
Privarsi di un viaggio rilassante, rinunciare all’acquisto di quelle scarpe viste in vetrina, posticipare l’acquisto del nuovo modello di cellulare. Ma anche sostituire praticamente del tutto i prodotti di marca con quelli venduti al discount, dire addio alla colazione al bar prima dell’ufficio, centellinare i regali a figli e nipoti. Sono tanti e di “peso” diverso i sacrifici con cui hanno dovuto fare i conti negli ultimi anni le famiglie triestine.
La crisi, infatti, ha colpito anche in Friuli Venezia Giulia e non ha risparmiato i consumatori del capoluogo regionale, costretti in più di qualche caso a rivedere le proprie abitudini. Del resto, commenta un anziano seduto su una panchina nel popoloso rione di San Giacomo, «è normale che in un periodo così difficile non si viva bene; poi però dipende da quanti soldi uno ha a disposizione».
Immancabile, per fotografare il calo dei consumi delle famiglie triestine, fare tappa in un supermercato.
«Tutto è aumentato - dice Lucia Tuzzi, fuori dal supermercato Pam di via Battisti - ma alla qualità cerco comunque di non rinunciare. Anche perché trovare prodotti bio e a chilometro zero è più facile di una volta. Ormai alcuni si trovano anche al discount».
È proprio sulle catene di supermercati non di “marca” che molti triestini fanno affidamento per risparmiare sensibilmente sul carrello della spesa. La conferma arriva da Ilaria Novacco, madre di una bambina, che negli ultimi tempi ha dovuto rivedere le modalità d’acquisto: «Il cibo per la verità l’ho sempre comprato al discount - spiega -, ma ora ne acquisto meno di una volta. Prima facevo le scorte, ora non più: compro solo lo stretto indispensabile. I prodotti di marca li compro soltanto se sono in offerta».
Una tendenza, quella descritta da Ilaria, sempre più radicata visto che, come emerge dal report di Confesercenti, gli acquisti alimentari nei discount hanno registrato aumenti a discapito dei piccoli negozi.
Anche Edmond Xega, che percepisce un assegno anti-povertà di 150 euro al mese erogato dai Servizi sociali e ha un’invalidità del 50 per cento, si affida a prodotti più economici: «Non compro mai cose di marca, vado al Lidl o in altri posti dove si spende di meno».
C’è però anche chi si dimostra più attento alla qualità che alla quantità e alla confezione multipla di formaggi confezionati acquistati nel supermercato non di marca preferisce magari una sola vaschetta di ricotta, purchè freschissima e biologica. Lo conferma Marcello Fadini, titolare del negozio “PuntoBenessere” in via Crispi 7. Nel suo negozio, spiega, che negli ultimi anni si è registrato un sensibile incremento nelle vendite.
Evidentemente per qualcuno salute e benessere del proprio corpo non temono la sfida della crisi: al latte di soia, ai semi di lino o ai fiocchi d'avena, quindi, non si rinuncia per nulla al mondo. Anche perché, commenta una cliente uscendo di fretta dal negozio «la felicità interiore viene anche da ciò che si mangia».
Non tutti, però, possono permettersi di pensarla così. «La crisi si sente, eccome - commenta spiega Cristina Popazzi -. Personalmente io non posso comprare prodotti biologici: costano troppo».
C’è poi da dire che a oscillare non sono solo i prezzi dei prodotti in vendita sugli scaffali di negozi e supermercati. A variare nel corso del tempo possono essere le condizioni lavorative e, di conseguenza, gli importi scritti a fine mese sulle buste paga. E quando quelle cifre si abbassano, modificare il proprio stile di vita, e le proprie abitudini d’acquisto, diventa praticamente obbligatorio.
«Fino a poco tempo fa avevo un mandato all’estero e quindi un’ottima paga - spiega Alessandro Busdon -. Ora invece percepisco uno stipendio da insegnante, così devo stare più attento alle spese». Risultato: «Gran parte dello stipendio se ne va in bollette e imposte e questo pesa notevolmente sul bilancio. Per l’alimentazione - continua Busdon - sto attento, non sono uno che va a mangiare fuori; faccio scelte oculate, però tenendo sempre conto della qualità-prezzo».
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