Consulenza al fidanzato: la Lega fa autosospendere la Piccin
TRIESTE. Non parla nessuno in Lega Nord. L’imbarazzo è palese. Ma qualcuno, stasera, dovrà decidere su Mara Piccin. O lei o il consiglio nazionale (è il gergo del Carroccio) che si riunisce nel quartier generale di Reana del Rojale e non potrà non affrontare il caso della capogruppo in Consiglio regionale indagata per l’ipotesi di reato di peculato. Due le soluzioni attese dalla base: l’autosospensione di Piccin o la sospensione decisa dal movimento. Qualsiasi rinvio avrebbe un sapore pilatesco.
Gianpaolo Dozzo, il commissario padano al lavoro in regione dalla scorso giugno, non ha mai parlato con la stampa. È stato inviato a monitorare la salute precaria di una Lega che, in Friuli Venezia Giulia, aveva messo in fila litigi, veleni, spaccature, flop elettorali e scandali. Una presenza silenziosa, in questi mesi, quella di Dozzo. Che continua a non dichiarare alcunché: cortese, ma declina l’invito. Non dice una parola nemmeno Matteo Piasente, il segretario congelato. Tanto meno la diretta interessata.
Solo Pietro Fontanini, presidente della Provincia di Udine, la carica amministrativa più importante della Lega ridimensionata dalle ultime tornate elettorali, accetta di commentare la delicatezza del momento: «Sì, è chiaro che queste cose non fanno bene». «Queste cose» sono la vicenda Piccin e quella consulenza “bizzarra” (da 5mila euro) assegnata dal gruppo consiliare leghista a Paolo Iuri, diventato poi compagno della eletta pordenonese, elicotterista, pure lui indagato per peculato. Come del resto Danilo Narduzzi, il capogruppo della scorsa legislatura, il padano su cui è piovuta la responsabilità della leggerezza con cui i colleghi consiglieri hanno gestito le casse dei fondi pubblici per la rappresentanza.
Una consulenza accompagnata anche da altre “stranezze”: quei cinque soggiorni in altrettanti alberghi, Piccin e Iuri assieme, che sarebbero storia privata non fossero stati pagati, pure quelli, con i soldi dei contribuenti. Materiale, tutto assieme, finito nel mirino del pm Federico Frezza, ma che diventa politicamente un gigantesco caso, l’ennesimo, in casa Lega. Questa sera è appunto in agenda un consiglio nazionale che, inevitabilmente, dovrà prendere in mano la questione.
Di che altro parlare in tempi grami, all’opposizione in Regione, e per un bel po’ di tempo ancora? Si dovesse autosospendere Piccin, come ha del resto fatto Narduzzi qualche mese fa, sarebbe almeno soddisfatta la base, quella che ci crede davvero non quella che sgomita, che certo non digerisce di vedere in casa propria gli stessi scivoloni di partiti considerati storicamente scorretti nell’uso del denaro pubblico. In caso contrario, è sempre la richiesta della base, toccherebbe al consiglio Fvg prendere una decisione. Con tutte le conseguenze del caso. Perché il crollo di voti della Lega ha ridotto a tre sole persone la presenza in piazza Oberdan: con Piccin ci sono l’ex assessore all’Agricoltura Claudio Violino e Barbara Zilli. Perdere un pezzo significa anche perdere il diritto a costruire un gruppo per i lavori dell’aula. Servirebbe a quel punto un accordo con le altre forze politiche (per nulla scontato) per proseguire con un gruppo di soli due membri. C’è dunque il rischio di penalizzare pure la struttura, con contratti agli addetti di segreteria già avviati. Insomma, un rebus. Da una parte la spinta dei militanti che vogliono chiarezza. Dall’altra le esigenze della realpolitik: il gruppo della Lega in Consiglio non può saltare.
Un bel pasticcio che, del resto, il Carroccio si poteva anche attendere quando, in campagna elettorale, Piasente dovette incassare la scelta federale di ricandidare gli uscenti ancora non coinvolti nell’inchiesta sulle spese pazze del 2011. Fu fatto allora firmare un documento, a tutti i candidati in lista, in cui si chiedeva l’impegno al passo indietro nel caso di interessamento della magistratura. Ora, nei confronti di Piccin, quell’interessamento c’è. E la Lega, in una qualche direzione, dovrà pure andare.
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