Console e Cavalli, ergastolo confermato

Respinta la richiesta degli avvocati di una nuova perizia psichiatrica per gli assassini di Giovanni Novacco. «Ora la Cassazione»
Di Corrado Barbacini
Foto Bruni 18.02.13 Processo Novacco:Console dopo la sentenza
Foto Bruni 18.02.13 Processo Novacco:Console dopo la sentenza

Una vita dietro le sbarre. Ergastolo era ed ergastolo è rimasto. Per Giuseppe Console e Alessandro “Tex” Cavalli è arrivata la sentenza dei giudici della Corte di Assise d’Appello: identica responsabilità per entrambi nell'efferato omicidio di Giovanni Novacco, consumato nell’agosto del 2011 in uno stabile Ater abbandonato di via Gemona. Perché come aveva sottolineato nella sua requisitoria nel processo di primo grado il pm Massimo De Bortoli se uno dei due avesse avuto da eccepire qualcosa o avesse inteso dissociarsi da iniziative dell'altro, avrebbe avuto sicuramente l'opportunità di farlo in più occasioni nel corso di quella che è stata la notte degli orrori. La notte in cui è stato torturato e bruciato vivo un ragazzo di 23 anni solo perché aveva parlato male dei duri di Roiano e di Giuseppe Console, il loro capo.

Alle 18 ad ascoltare il presidente Pier Valerio Reinotti è rimasto soltanto Alessandro “Tex” Cavalli. Giuseppe Console mezz’ora prima ha chiesto di andarsene. Di essere portato nel carcere di Padova dov’è recluso. Non se l’è sentita di ascoltare la sentenza di fatto definitiva e senza speranze. Ergastolo. Aveva già fatto.

E così quando prima delle 16 i giudici togati e popolari si sono riuniti in camera di consiglio, dove sono rimasti quasi due ore, «Beppe» da Roian, scortato dagli agenti della penitenziaria, se n’è andato accompagnato dalla scorta passando poi attraverso un’uscita secondaria del palazzo di giustizia fino al cellulare blu scuro fermo in via del Coroneo che subito è partito per Padova.

Invece “Tex” è restato in piedi ad ascoltare il presidente Reinotti. Ha mosso disordinatamente il volto. Poi gli agenti lo hanno ammanettato e accompagnato al Coroneo.

L’udienza è stata celebrata a porte chiuse. Perché in primo grado (il 18 febbraio scorso) Console e Cavalli erano stati giudicati in abbreviato. I giudici del collegio presieduto da Pier Valerio Reinotti e composto dal togato Francesca Morelli e da sei “popolari” non hanno accolto la richiesta dei difensori Maria Genovese e Paolo Bevilacqua di una nuova perizia psichiatrica per entrambi gli imputati. E in particolare per Cavalli una perizia che potesse verificare perfino le sue capacità di stare in giudizio. Perché in questo caso il giudizio avrebbe dovuto essere sospeso. Invece tutto si è svolto in poche ore. Il procuratore generale Carlo Maria Zampi nella sua requisitoria ha chiesto quegli ergastoli che poi sono stati confermati nella sentenza. Lo ha fatto con una minuziosa e approfondita descrizione dei fatti.

Poi i difensori hanno giocato le loro carte. La perizia e le attenuanti generiche e poi l’insussistenza dei futili motivi. Bevilacqua e Genovese hanno tentato di scalfire un impianto accusatorio praticamente granitico. La loro è stata una battaglia contro la condanna dell’ergastolo senza negare l’efferatezza dell’omicidio di Giovanni Novacco. Ma gli spazi per questo tentativo sono stati effettivamente troppo angusti. «Non posso nascondere una profonda delusione per non essere riuscito a persuadere la corte ad approfondire il tema della perizia psichiatrica. Questa è l’unica chiave di interpretazione per un delitto così efferato», ha detto Paolo Bevilacqua, difensore di Giuseppe Console. «Proporremo il ricorso in Cassazione. La perizia ritenuta fondamentale di scientifico non ha nulla», ha aggiunto Maria Genovese che ha difeso “Tex” Cavalli. In una pausa del processo Laura Luzzato parte civile per conto della nonna di Giovanni Novacco aveva auspicato la conferma della sentenza di primo grado. Ha detto: «L’omicidio è stato efferato e ritengo debba essere applicata la giusta pena. E la giusta pena è l’ergastolo». Dello stesso tenore la dichiarazione finale degli avvocati della famiglia Novacco, Valentina Montecchia e Massimo Scrascia: «Solo questa pena è proporzionata alla gravità dei fatti e all’intensità della logica criminale dimostrata da entrambi gli imputati».

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