«Console e Cavalli, delirio di onnipotenza»
Una prova assoluta, una dimostrazione di potere. Un delirio di onnipotenza. Una morte già decisa.
Ecco cosa c’è dietro all’omicidio di Giovanni Novacco. E non lo spiegano solo le prove pesanti come macigni, e cioè testimonianze e dati incontrovertibili che hanno inchiodato Giuseppe Console e Alessandro “Tex” Cavalli alle loro responsabilità per le quali sono stati condannati in Appello all’ergastolo. Una vita dietro le sbarre.
Il giudice Pier Valerio Reinotti che ha presieduto il collegio composto dal “togato” Francesca Morelli e da sei “popolari” lo scrive a chiare lettere nella sentenza depositata nei giorni scorsi. Sentenza contro la quale i difensori del due assassini, Maria Genovese per Alessandro “Tex” Cavalli e Sergio Mameli (subentrato a Paolo Bevilacqua) per Giuseppe Console proporranno ricorso in Cassazione.
Gli elementi ai quali fa riferimento il giudice Pier Valerio Reinotti nelle motivazioni sono sostanzialmente gli stessi che nel settembre dello scorso anno avevano portato alla condanna in primo grado di Beppe da Roian e di Tex Cavalli che erano stati acquisiti nell’istruttoria del pm Massimo De Bortoli. Sono rappresentati dai sopralluoghi, dalle perizie medico legali, chimiche, genetiche, dai tabulati telefonici, dalle testimonianze e dalle acquisizioni documentali.
Si legge: «Entrambi gli imputati hanno contribuito sul piano materiale alla realizzazione del reato». Dunque identica responsabilità, «nonostante - si legge nella sentenza - la diversa opinione del difensore di Cavalli (ndr, l’avvocato Maria Genovese)» che ha sempre puntato sull’inabilità di “Tex”.
Ecco la spiegazione: «Cavalli - scrive il giudice Reinotti - ha colpito ripetutamente Novacco. Ha ammesso di aver colpito la vittima con due pugni. Ha contribuito all’acquisto della benzina, ha indotto la moglie (ndr, Barbara Tardivo) a fare la guardia a Novacco, già gravemente ferito. Lo ha abbandonato in condizioni semicomatose nell’appartamento di cui aveva la chiave d’ingresso».
Quella notte nella casa dell’orrore non c’è stato un solo istante di pietà per Giovanni Novacco. Scrive ancora il giudice Reinotti: «Entrambi (ndr, Console e Cavalli) sono entrati più volte sul luogo del sequestro. Hanno dimostrato di condividere pienamente la progressione nelle sevizie inferte a Novacco senza che nessuno abbia receduto anche solo per un momento né tanto meno abbia avuto un gesto, che sia stato processualmente in concreto provato, tale da attenuare le sofferenze inferte».
Nella sentenza viene affrontata la questione del movente. Scrive il giudice Reinotti: «Nessun intendimento estorsivo è riconoscibile nella condotta degli imputati improntata a una mera affermazione di potere - già peraltro esibita anche in altre occasioni - dovendosi considerare che nessun profitto era prospettabile dalla sua liberazione». Continua: «L’unico movente che è emerso è quello costituito dal sospetto di un’eccessiva familiarità di Novacco con la ex moglie di Console e con il suo nuovo compagno. Il quale non si era adeguato al “bando” che Console pretendeva incombesse sul capo dei due fedifraghi e, forse, parteggiava per loro, dimostrandosi per di più poco collaborativo nel fornire informazioni sui loro movimenti. Si è in presenza - sono sempre parole del giudice - di atti di puro teppismo che neppure gli imputati hanno saputo spiegare anche solo plausibilmente».
Ci sono infine altri aspetti che spiegano indirettamente le ragioni della morte di Giovanni Novacco. «Non vi è dubbio - osserva il giudice Reinotti - che dopo le prime sevizie subite e dopo la protrazione per così lungo tempo della libertà personale Novacco non avrebbe potuto tacere a lungo e, se non spontaneamente, sarebbe stato indotto dai familiari o dagli amici, a rivelare quanto patito e di essere stato privato della libertà personale contro la propria volontà».
Insomma, quella accaduta nella notte dell’orrore, per Giovanni Novacco, era già una decisione presa. Una sentenza di morte.
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