Console dal pm: «Sono un po’ ritardato»

Per la prima volta l’assassino di Gretta ha parlato davanti al magistrato: sette ore di racconto, colpa scaricata su Cavalli
Paolo Giovannini, Trieste 31/10/2011, Tribunale di Trieste.
Paolo Giovannini, Trieste 31/10/2011, Tribunale di Trieste.

Ha parlato per sette ore Giuseppe Console, l’assassino di Giovanni Novacco. Lo ha fatto ieri nello studio del pm Massimo De Bortoli che fin dal 27 agosto scorso, il giorno dell’arresto del giovane, aveva atteso questo momento. I primi tentativi del magistrato erano andati a vuoto. Ieri mattina alle 10 la clamorosa svolta e l’avvio di un torrenziale racconto snodatosi senza soluzioni di sorta fino alle 14.45 per riprendere mezz’ora più tardi.

Giuseppe Console ha raccontato la sua verità, smentendo quanto aveva rivelato all’interno del Tribunale di Paola nel primo approccio con un magistrato. Molti dei dettagli forniti all’epoca in sede di convalida dell’arresto ieri sono stati rettificati o azzerati.

«Ma lei aveva affermato questo. È esattamente l’opposto di quanto mi sta dicendo ora», ha affermato più volte il pm Massimo De Bortoli. «Evidentemente mi ero sbagliato» ha risposto, gelido, Giuseppe Console, rimangiandosi ad esempio i dettagli forniti sul possesso delle chiavi dell’appartamento di via Gemona, diventato sala di tortura e di morte. «Non ho mai avuto quelle chiavi». L’affermazione perentoria chiama in causa direttamente “Tex” Alessandro Cavalli, suo amico di vecchia data e complice nel sequestro e nelle sevizie inferte a Giovanni Novacco.

Ma andiamo con ordine. Giuseppe Console è comparso nel corridoio della Procura della Repubblica poco dopo le 9.30. Il suo arrivo al Palazzo di Giustizia con tre agenti di scorta non è sfuggito agli occhi di alcuni avvocati. La voce è corsa, veloce. Prima di essere fatto entrare nello studio del magistrato assieme al difensore, l’avvocato Nicoletta Menossi, Console ha scambiato qualche vivace parola con chi aveva il compito di sorvegliarlo.

«Mi fanno male i polsi, toglietemi le manette. Perché sono stato perquisito due volte?» ha esclamato polemicamente ad alta voce, per farsi sentire anche a distanza. Poi ha aggiunto: «Faccio questi casini perché sono un poco ritardato».

Ecco, queste parole accreditano tutto ciò che in questi ultimi 40 giorni il giovane assassino ha messo in atto per difendersi da un’accusa gravissima e abbietta che in astratto non gli lascia scampo dall’ergastolo. Per sfuggire a questa punizione lui cerca disperatamente di farsi passare per seminfermo di mente. Così litiga con gli agenti, lamentandosi per la condizioni della cella; cambia vorticosamente difensore; mette in atto qualcosa che assomiglia a un tentativo maldestro di suicidio; spedisce lettere in cui in un verso ripudia i genitori e nell’altro si lamenta perché per troppo tempo non ha potuto incontrare la mamma; chiede informazioni sulle condizioni di salute e sulla degenza all’ospedale del ragazzo che lui stesso ha contribuito ad uccidere.

L’interrogatorio di ieri rientra con buona probabilità in questa strategia che l’assassino ha scelto da solo per evitare la condanna a vita. Giuseppe Console, nell’ambito di questa strategia, ieri ha cercato di accreditare col pm Massimo De Bortoli la tesi che lui non fosse presente nell’appartamento di via Gemona 15 nelle fasi più crude della notte tra il 25 e il 26 agosto, quando Giovanni Novacco era sanguinante a terra, privo di abiti con i polsi legati e la bocca tappata. Dunque a suo dire tutte le responsabilità dell’omicidio vanno attribuite ad Alessandro Cavalli che peraltro negli interrogatori resi all’inizio dell’inchiesta allo stesso pm Massimo De Bortoli aveva fatto altrettanto, chiamandosi fuori e mettendo con le spalle al muro l’ex amico.

Le sette ore di serrato confronto con gli inquirenti sono state riprese da un paio di telecamere installate da tempo nell’ampio studio del pm Massimo De Bortoli. Gli obiettivi non si sono staccati mai dal volto e dalle mani di Giuseppe Console, mentre un microfono direzionale, registrava tutte le inflessioni della sua voce. Le stesse telecamere avrebbero dovuto entrare in funzione nel corso del confronto disposto tra i due ex amici diventati assassini: un confronto era fallito perché proprio Giuseppe Console, allora assistito dall’avvocato Cesare Stradaioli, si era avvalso della facoltà di non rispondere, peraltro prevista dal Codice.

Le immagini saranno analizzate con un sofisticato software, che dovrebbe evidenziare attraverso segni e smorfie impercettibili eventuali bugie, inceppamenti nel ragionamento, parole in libertà. Nel corso della seconda fase dell’interrogatorio il magistrato, tra l’altro, ha cercato di far luce anche sull’influenza che il compagno di cella, tale Zorzini, ha avuto su Giuseppe Console e sul suo vorticoso batti e ribatti di nomine e revoche di avvocati difensori.

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