Concerto di Muti, vacilla presenza dei tre presidenti

Vacilla la presenza a Trieste, il 13 luglio, dei tre presidenti della Repubblica di Slovenia, Croazia e Italia in occasione del concerto della pace diretto da Riccardo Muti. A rendere ”prudente” il Quirinale l’incidente diplomatico dovuto alla prevista visita dei tre all’ex Hotel Balkan, con Menia contrario
Hotel Balkan
Hotel Balkan
TRIESTE
Il 13 porta sfortuna e a Trieste doppiamente. Sul concerto ”Le vie dell’amicizia” che Riccardo Muti ha prenotato quest’anno a Trieste invitando in segno di riconciliazione i presidenti sloveno, Danilo Türk, e croato, Ivo Josipovic, assieme a Giorgio Napolitano, crolla all’improvviso una questione politica e diplomatica.


Altro che amicizia in musica sulle sponde ferite dell’Adriatico: storie e mai digerite memorie son tornate puntualmente a galla e si è ai ferri corti. La stessa presenza del Presidente della Repubblica in piazza Unità la sera del 13 luglio, già data per certa, non è più al momento così sicura, stando a fonti del Quirinale. Il 13 luglio è per Muti il giorno di chiusura del Ravenna festival, dunque una data tecnica per portare dalla sera alla mattina orchestra e strumenti nella città prescelta per l’annuale evento.


Ma a Trieste il 13 luglio è l’anniversario dell’incendio dell’hotel Balkan, il Narodni Dom sloveno dato alle fiamme nel 1920 dai nazionalisti italiani, per rappresaglia contro l’uccisione a Spalato di due italiani. Una tragedia che per gli sloveni segna l’inizio della persecuzione fascista, una data che ogni anno produce commemorazioni, e stavolta si tratta dell’anniversario: 90 anni. Ma non sono i triestini a sfasciare l’idillio dell’«amicizia».


Del fatto si accorge il quotidiano di Lubiana ”Delo” che pubblicamente invita il presidente sloveno Türk a non accogliere l’invito a Trieste, affermando che l’inno sloveno non verrà suonato, gli altri due sì. Il Ravenna festival replica duramente. E il ”Delo” allora rammenta la data del 13 luglio, il Balkan in fiamme, e chiede che il presidente renda omaggio al luogo. Türk, si dice, non poteva ignorare la pressione, né dimostrare di trascurarla venendo a Trieste. La richiesta è inoltrata al Quirinale.


Muti, seccatissimo per la piega storta che prendono le buone intenzioni, è infine avvicinato dal ”Delo” mentre prova un concerto da tenersi a Lubiana, protesta per gli attacchi del giornale, dice: «Si vuole che io non faccia quel concerto?», e assicura: «Accompagnerò io stesso i tre presidenti a un breve omaggio al Narodni Dom». Si sa che le diplomazie hanno ipotizzato una sosta simbolica, discorsi sulla pace e non commemorazioni capaci di rinnovare incendi.


A questo punto, e cioé ieri, la questione si complica definitivamente. Roberto Menia, sottosegretario e viceoordinatore regionale del Pdl, sferra l’attacco. Sul sito della sua nuova associazione, Area nazionale, e anche sull’organo ufficiale della vecchia An, «Il Secolo» pubblica un articolo dal titolo: «13 luglio a Trieste i Presidenti di Italia, Slovenia, Croazia. Riconciliazione nella verità. Perché non vanno a Basovizza?». Menia plaude al concerto, alla musica, all’amicizia, non alla visita. E ufficialmente chiede che i tre presidenti vadano allora anche a inginocchiarsi alla Foiba di Basovizza.


Ricorda i fatti del 13 luglio 1920, definendo «vulgata di storia addomesticata» l’attribuzione del fuoco al «nascente ”fascismo di confine”, responsabile di quelle violenze antislave per cui ancora oggi l’Italia non ha pagato il conto. È quello stesso filone culturale - scrive - che fino ad oggi ha negato o giustificato lo sterminio delle foibe e relegato l’esodo istriano ad una banale questione d’emigrazione...». Sottolinea: «È giusto precisare che oggi l’ex Balkan è sede di una facoltà universitaria dove si tengono i corsi di slavistica». Di fatto vi abita la Scuola superiore per interpreti e traduttori dell’Università di Trieste.


«Se il presidente sloveno e croato visitano per la prima volta Trieste non possono farsi un’idea unilaterale delle cose - specifica Menia -, non mi diverto a porre questioni, ma di fronte a questo programma le pongo, e non per niente sull’organo ufficiale del partito. Türk ha problemi a casa sua? Non può portarli a casa nostra. Se vanno tutti e tre al concerto a stringersi la mano, la musica ci sta più che bene, se invece il progetto è un altro...». Risultato: il Quirinale è diventato prudente circa il dare per assodata, come pareva, la venuta di Napolitano a Trieste. La telefonata di assenso che il sindaco Dipiazza aveva raccontato di aver ricevuto è diventata, diplomaticamente, «un’intenzione di accogliere l’invito». Il programma, si dice, «è tutto da definire».


L’evento triestino «è tutto da confermare». Sono al lavoro il consigliere diplomatico del presidente e il consigliere per gli Affari interni. Il «concerto dell’amicizia» si è già trasformato in un rinfaccio di inimicizie. Commenta il giornalista Paolo Rumiz che ha conosciuto Muti al concerto di Sarajevo e ha seguito la genesi di quello triestino: «I nazionalisti non vogliono eventi come questo. Siamo peggio dei balcanici: a Sarajevo il concerto dell’anno scorso coincideva con l’anniversario del massacro di Srebenica, e tuttavia si è svolto in pace e serenità».


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