Concerti e contributi gonfiati, Azalea e Zenit nei guai
MONFALCONE. Concerti ed eventi musicali in regione, andati in scena da Trieste all’Isontino all’Udinese, fino a Jesolo, finiti nelle maglie investigative della Guardia di finanza di Gorizia. Sotto la lente d’ingrandimento un’erogazione di contributi pubblici concessi dalla Regione Friuli Venezia Giulia e da diverse amministrazioni comunali, anche in Veneto, per un ammontare complessivo di due milioni di euro. Contributi che, secondo l’indagine della Gdf, solo in parte avevano i requisiti per essere erogati ai richiedenti. Nell’inchiesta avviata a tale proposito dalla Procura di Gorizia sono finite due società e un’associazione attive nel settore della “programmazione e realizzazione di concerti ed eventi musicali”, i cui amministratori sono stati già a suo tempo denunciati per indebita percezione di contributi e truffa aggravata ai danni dello Stato. Due gli indagati. Coinvolte, in particolare, le società Azalea Promotion e Zenit.
L’inchiesta, che nel 2015 aveva comportato il sequestro di beni mobili e immobili a carico degli indagati in misura corrispondente alle risorse finanziarie ritenute «indebitamente percepite», si è conclusa il 28 luglio scorso, a fronte della notifica alle parti interessate.
Attualmente è pendente un ricorso in Cassazione, presentato dal legale difensore, l’avvocato Vincenzo Cinque del Foro di Udine, al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento di sequestro dei beni che era stato ottenuto dal magistrato titolare dell’inchiesta dal Giudice per le indagini preliminari. L’udienza è stata fissata per il prossimo 9 febbraio.
Intanto, la Guardia di finanza ha concluso da parte sua l’attività inquirente provvedendo a segnalare alle competenti procure regionali, presso le sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti, un danno erariale quantificato in un milione e 600mila euro. L’inchiesta delle Fiamme Gialle era partita nel 2013. Il periodo di “osservazione” ha riguardato gli anni dal 2007 fino al 2013, nel corso dei quali, come ha spiegato la Gdf, gli indagati hanno richiesto e ottenuto i contributi pubblici, per l’ammontare di 2 milioni di euro. Contributi che, regolati da specifiche normative europee, recepite dall’ordinamento italiano, sono soggetti al cosiddetto “regime de minimis”, ossia di un’erogazione massima triennale di 200mila euro, al fine di evitare la naturale insorgenza di effetti distorsivi della concorrenza sul mercato. Fondi che, dunque, per la Gdf solo in parte rientravano nel “regime de minimis” previsto. E soldi «indebiti» contestati a tre società costituitesi in tempi diversi, a fronte di tre distinti soggetti giuridici a nome dei quali erano stati richiesti i contributi. Secondo l’indagine condotta dai finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria di Gorizia, «una parte delle istanze prodotte per l’ottenimento di contributi venivano corredate da false attestazioni generando di fatto un’indebita percezione di contributi, mentre l’altra parte - ha aggiunto la Gdf - è stata ottenuta presentando istanze a nome di società terze». Un meccanismo, dunque, utile per «aggirare i limiti imposti dalle regole “de minimis”, inducendo così in errore, sempre secondo le Fiamme Gialle, la pubblica amministrazione erogante».
L’avvocato Cinque, da parte sua, ha spiegato: «Si trattava di corrispettivi, comunque di erogazioni al di fuori del “regime de minimis”. Le cifre contestate, inoltre, si sono poi ridotte a 220mila euro». L’avvocato ha aggiunto: «Le risorse economiche venivano stanziate a consuntivo, non a preventivo, a fronte della presentazione di fatture, non potendo indurre la pubblica amministrazione in errore». I legale ha quindi osservato: «Nell’ambito del ricorso presentato in Cassazione, è stato impugnato il provvedimento di sequestro dei beni ai fini dell’annullamento. Durante la prima udienza, rinviata per l’assenza di un documento richiesto dal consigliere relatore Piercamillo Davigo, il Procuratore generale, nelle sue conclusioni, si era espresso per l’annullamento del provvedimento. A questo punto, attendiamo la decisione della Corte».
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