La comunità ungherese di Trieste tra vita quotidiana e progetti economici
Presenza fissa nell’Ottocento, il gruppo magiaro ha numeri ridotti ma comincia a riaffacciarsi a Trieste con professionisti e investimenti
![A sinistra Anett Porpáczy, a destra Peter Garai e in alto l’area ex Aquila dove investirà Adria Port](https://images.ilpiccolo.it/view/acePublic/alias/contentid/1h2skjqcdc1zaih4frt/0/progetto-senza-titolo-2025-02-06t162755-159-png.webp?f=16%3A9&w=840)
Durò solo qualche effimera stagione, verso gli anni Ottanta, la frequentazione in massa degli ungheresi a Trieste: torpedoni di turisti provenienti dal paese all’epoca del “Comunismo Goulash” rimpiazzarono i compratori dalla Jugoslavia, affollando l’emporio adriatico. Non fu l’unico contatto tra l’Ungheria e Trieste, perché sottotraccia la comune appartenenza asburgica consente un’eredità di legami familiari e accordi commerciali tutt’oggi assai vivace negli investimenti del porto e in una presenza di expat che lavorano a Trieste.
Vasta e sorprendente l’eredità culturale: Illycaffè venne fondata ad esempio dall’imprenditore ungherese Ferenc Illy (1933); il Museo Revoltella poté acquistare i suoi quadri più pregiati grazie alla donazione di 600 milioni di lire dell’imprenditore ungherese Giulio Kurländer; era nato a Budapest l’intellettuale Giorgio Pressburger, che scelse Trieste nel 1975 convinto dalla “bruma dei ricordi”.
Qual è oggigiorno lo stato della comunità ungherese a Trieste? E si può parlare di comunità o piuttosto di singole presenze? La molla propulsiva sul fronte economico oggi proviene dall’arrivo di Adria Port, nell’ex Aquila. La società pubblica è stata voluta dal governo Orbán e, fra Capodistria e Trieste, ha scelto quest’ultima per ridare uno sbocco al mare all’Ungheria.
L’ad Peter Garai ha sottolineato più volte gli elementi di vicinanza a Trieste e Fiume: «C’è uno storico legame tra la città e Budapest», dice Garai, ricordando che «noi sosteniamo attivamente l’associazione Pressburger e, in sei anni di presenza nel capoluogo, ho notato come l’interesse degli ungheresi sia cresciuto davvero tanto. Circolano molte targhe dall’Ungheria e c’è parecchia curiosità. Come Adria Port miriamo ad essere parte del tessuto cittadino».
A questo proposito Anett Porpáczy, di professione marketing manager, ritiene che «non vi sia una comunità vera e propria; ho qualche amico ungherese, ma è raro che vi siano eventi insieme» . La studentessa dell’Università di Trieste Nagy Iringó Rákhel azzarda qualche numero: «Penso che siamo circa cento».
Però non c’è un reale senso di comunità, impressione avvalorata dall’agente immobiliare Noemi Boros, secondo cui «non siamo persone che amano stare in un gruppo». Zsuzsanna Kis, impiegata nelle risorse umane, ricorda che “c’è un gruppo su Facebook, ma viene soprattutto usato per spedizioni di merce in Ungheria e consigli pratici».
Trieste come Budapest? Gli expat ungheresi ammettono qualche somiglianza: «Le due città vennero costruite nello stesso periodo, con lo stesso stile architettonico, entrambe ai tempi dell’impero austriaco», riflette Anett. Il verde, per Iringó Rákhel, è simile: «Hanno tanti parchi, sebbene Budapest non abbia ovviamente un bellissimo lungomare; sono culturalmente entrambe molto vive» . Boros ricorda che «il palazzo dei commercialisti italiani a Budapest ha le scalinate realizzate con marmo di Aurisina» e non è un caso, perché «sono entrambe città austroungariche: io mi sento a casa a Trieste».
Diretta invece Kis: «Per me Trieste è una piccola Vienna sul mare, ma naturalmente ci sono anche somiglianze con Budapest: largo Barriera e piazza Garibaldi mi ricordano la parte orientale dell’Ungheria dove sono nata, mentre Cavana ricorda il lago Balaton».
Ma perché un ungherese dovrebbe trasferirsi a Trieste? Boros spiega che «sono di solito professionisti che lavorano a distanza. Chi si trasferisce non è alla ricerca di un lavoro, perché l’inglese in Italia è ancora poco utilizzato: la maggior parte dei miei clienti desidera vivere vicino al mare» .
C’è anche però chi sceglie di aprire un’attività ed è il caso di Porpáczy, che lo alterna all’impiego in ambito pubblicitario: «Ho aperto un negozio in via Dante. Il focus è sui prodotti locali, non necessariamente per i turisti: vogliamo brand originali, riciclati, vestiti slow fashion, vintage… A Budapest avevo un negozio simile».
A livello sociale «è per me difficile fare amicizie coi triestini: non sono mai scortesi, ma molto riservati», spiegato Kis. E la bora? Eszter Bircsák, una Strategist Designer, la definisce «impegnativa, ma vista dal Carso è bellissima». —
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