Comunità di don Vatta Dieci anni in strada a intercettare il disagio
di Gianpaolo Sarti
Una coperta, un panino e un tè caldo. E poi una parola gentile, rassicurante. Serve poco, dunque tantissimo, per aprire un cuore e cambiare una vita. Quelle ai margini, su una panchina o su un marciapiede, negli angoli di una stazione o di un giardino. «Gli angoli della nostra società, popolate di anziani e giovani, italiani e stranieri», riflette a voce alta don Mario Vatta, ripercorrendo con il pensiero i dieci anni di vita dell’Unità di Strada. L’équipe di operatori e volontari che ogni sera la Comunità di San Martino al Campo manda nelle vie, nelle piazze e nei campi rom della città per dare speranza a chi non ce la fa. Domenica al teatro Miela, davanti al sindaco Roberto Cosolini, al vice-sindaco Fabiana Martini e all’assessore alla Politiche sociali Laura Famulari, la Comunità ha ricordato le tappe di questa realtà che continua la sua opera grazie al sostegno dall’Area Promozione e Protezione Sociale del Comune di Trieste e alla collaborazione della Comunità di San’Egidio. Lo ha fatto dando spazio soprattutto alle testimonianze. E ai racconti dei tanti progetti nati da una parola buona e una coperta calda. «Sì – riprende don Mario – se una volta si cercava di aiutare queste persone dando loro qualcosa da mangiare e un posto dove dormire, ora si cerca di costruire una rete e offrire risposte più strutturate». Perché dietro a una barba sfatta e un abito sciupato spesso si nasconde una povertà di relazioni. Che poi, talvolta, è la vera responsabile di tante storie difficili. «Una parte abbondante di questo fenomeno scaturisce dalle famiglie, dove le relazioni possono essere molto povere. La comunicazione può diventare viavia qualcosa di molto problematico e la famiglia non è più rifugio ma luogo di esclusione e rifiuto».
Il meccanismo è noto: perdita del lavoro, incomprensioni con il coniuge, separazione, allontanamento. Con i figli da mantenere e il mutuo da pagare: spese che un’unica persona non ce la fa più a sostenere. La disperazione, cioè la strada, è a un passo. «Un fenomeno crescente«, osserva il fondatore della Comunità. Un centinaio oggi le persone assistite: il doppio di dieci anni fa. Ora il progetto ha il compito di “snidare” le situazioni di estrema povertà e marginalità per accompagnare chi è senza dimora in un percorso di reintegrazione nel tessuto sociale attraverso la ricerca di un lavoro e di una casa. «E’ un’attività delicata e complessa, che richiede competenze sensibilità e pazienza – spiegano i responsabili della Comunità – e la capacità di lavorare in rete». Buona parte del lavoro è dedicata ai momenti di verifica con i servizi sociali e alle visite domiciliari. Negli anni l’Unità di Strada si è rinforzata con nuove strutture: è il caso del dormitorio e del Centro diurno di via Udine. O altri servizi, come quello offerto dai volontari del Gruppo della Stazione. Domenica al Miela, assieme agli interventi di don Mario e del presidente della Comunità Claudio Calandra di Roccolino, c’è stato spazio alla festa con l’esibizione del gruppo musicale Illirya e del cantante Massimo Priviero. Lacrime e sorriso: i due volti del disagio che cercano dignità e riscatto.
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