Comunali, ricandidatura di Dipiazza«A Roma contrari al terzo mandato»
Il sindaco Dipiazza piace molto al Pdl, quello triestino spinge per conservare il candidato forte col terzo mandato, cosa impossibile senza cambiare apposta la legge elettorale con voto in Regione. Il senatore Pdl-Fi Giulio Camber: "Le candidature sono decise da Roma e la linea nazionale è contraria ai terzi e quarti mandati"
Roberto Dipiazza
TRIESTE.
Il sindaco Dipiazza piace molto al Pdl, quello triestino spinge per conservare il candidato forte col terzo mandato, cosa impossibile senza cambiare apposta la legge elettorale con voto in Regione, ma proprio a livello regionale (e più su) l’argomento ancora svanisce, vaporoso e di fatto quasi inconsistente, se non che la Lega locale in parte intreccia motivi diversi e propri per usare l’ottima pedina: «Dipiazza casomai sindaco della città metropolitana, il Pdl, volendo lui, potrebbe essere spinto a votarci più facilmente questa riforma».
Giulio Camber, senatore Pdl-Fi, che da tempo seppur con abile savoir-faire insinua l’opportunità di trattenere il cavallo forte (specie perché è convintissimo, nonostante le smentite, che Illy sarà l’oppositore nel centrosinistra): «Non tutti lo hanno ancora capito, le candidature sono decise da Roma e la linea nazionale, esplicita e molto chiara, è contraria ai terzi e quarti mandati». «La questione - scandisce Isidoro Gottardo, segretario regionale Pdl - semplicemente non è all’ordine del giorno, l’orientamento della maggioranza è contrario». Piero Fontanini, segretario regionale della Lega: «Non ne abbiamo mai parlato, anzi io lo dico chiaro: sono molto scettico e perfino contrario ai terzi mandati. Ci sono stati altri sindaci di valore, e tutti hanno mollato». Sembra quasi che Dipiazza si autocandidi. Certo non è così.
Il suo nome al contrario serve quanto meno a gelare altrui tentazioni del genere. «Dipiazza - spiega Camber - è una sorta di minimo comun denominatore, è sicuramente l’ipotesi che solleva meno anticorpi, attorno al suo nome almeno non c’è ostilità, ma l’unica certezza adesso è che siamo fuori dalla fase delle infinite autocandidature. Poi tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare, bisogna vedere se è un mare chiuso come l’Adriatico o no». E la disponibilità del sindaco non conta? «È un po’ il discorso della volpe e dell’uva - allude il senatore -, puoi rifiutare se hai un’altra ipotesi in mente, sennò...».
«Certo che in via preliminare è stato chiesto a Dipiazza il suo orientamento - prosegue Gottardo -, la sua disponibilità è vista molto bene nel Pdl, ma la decisione è proprio tutta da vedere, e non sarà in agenda prima della primavera del 2010. È cosa delicata, perché è stato istituito anche il limite di mandato per i consiglieri regionali, sul piano costituzionale una legge correttiva sarebbe una forzatura, una decisione puramente politica». Si è messo in ballo il parallelo con Pordenone, dove il sindaco Bolzonello è la bandiera forte, invece, del Pd, altrettanto interessato a ripresentare per la terza volta il suo candidato. Ma se si votasse la modifica, non sarebbe, giurano tutti, un provvedimento «ad personam», magari trasversale, perché sarebbero in gioco chissà quanti altri Comuni, tanti. Ora la legge prevede la terza candidatura solo in quelli piccolini, l’Anci in tutta Italia preme per la riforma, ma lo sbarramento sembra ancora alto e solido. «Abbiamo suggerito - dice Fontanini - casomai Dipiazza come presidente della città metropolitana».
Carica nuova, impedimenti zero. Ma la città metropolitana non c’è, è solo una prima proposta dell’assessore leghista alle Autonomie, Federica Seganti. Anche Massimiliano Fedriga, segretario provinciale e deputato del Carroccio, spinge quel tasto e respinge il Dipiazza-terzo: «I sindaci hanno le chiavi della città, non mi appassionano le cariche che durano 15 anni, ed è pericoloso fare leggi generali per tutelare un solo candidato. Per la città metropolitana, invece...».
Lì Dipiazza diventa la pedina del re. «Un accordo locale - conclude Camber - può pesare in senso favorevole, ma intanto chi pensa di prendere le decisioni e di farsele ceralaccare da Roma è fuori dalla realtà. Gli accordi si fanno solo quando c’è un via libera vero, per adesso siamo in una fase dottrinale, e non penso affatto che leggi simili possano infiltrarsi ”da sole”, che ci possa essere la famosa furbata, questa legge dovrebbe essere atto di giunta e prima ancora di consiglio, in tutti i casi c’è da mettere d’accordo le sette chiese...».
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