Commessa della Mongolia salva la Ferro alluminio

L’azienda triestina era finita sull’orlo del baratro a causa dei troppi crediti che non riusciva più a incassare Il cavaliere Nicolò: ci facciamo conoscere alle fiere
Di Gabriella Ziani

Non basta inventare, creare, produrre, brevettare, aver lavorato negli Stati Uniti, partecipato alla costruzione del primo “Pirellone”, aver realizzato enormi facciate in vetro e alluminio in Polonia, Romania, Serbia, Russia, Slovenia, Canada, Venezuela, a Singapore e nel Brunei, aver ricevuto nel 2009 una laurea “honoris causa” in Ingegneria meccanica dall’Università di Trieste, aver lanciato messaggi di speranza e coraggio ai giovani, con la forza di un destino che al cognome “Ferro” ha unito produzioni di “Alluminio”.

«Se avessi dovuto continuare a lavorare solo in Italia avrei già chiuso l’azienda, si fa molta, molta fatica a incassare i pagamenti» dice Nicolò Ferro, 84 anni, fondatore nel 1966 della Ferro Alluminio con sede in via Ressel,cavaliere del lavoro, quattro figli di cui due in azienda, 30 dipendenti, e molti collaboratori all’estero. Invece è stato proprio e solo il fattore “E” a salvare questa innovativa azienda di successo triestina: il fattore estero, il fattore esportazione. È arrivata in via Ressel un’importante commessa privata nientemeno che dalla Mongolia, lo Stato dell’Asia centrale che confina con Russia e Cina. Un altro lavoro è in previsione. L’azienda dunque è salva. E la storia può continuare.

«La crisi del mercato italiano è molto grave - racconta Ferro -, i privati anche pagano, perché se decidono di fare un lavoro mettono in conto di avere i soldi necessari, ma le imprese, non pagate dalla pubblica amministrazione, non pagano, noi abbiamo una esposizione bancaria non indifferente». La Ferro Alluminio realizza intere facciate di palazzi, lisce e curvate, in vetro legate da alluminio, e ogni pezzo e finitura sono progettati in casa.

L’imprenditore, nato a Dignano d’Istria nel 1929, che da giovanissimo si era segnalato nei cantieri navali San Rocco per una speciale inventiva nel migliorare i processi, e quindi aveva lavorato negli Usa a metà degli anni Cinquanta, e tornato a Trieste negli anni Sessanta aveva brevettato un sistema prefabbricato per l’assemblaggio dei ponteggi nei cantieri edili, e poi serramenti di nuovissima concezione, a prova di acqua e soprattutto di bora, e poi un sistema di profili per serramenti in alluminio “R” oggi diffuso in tutto il mondo, e altri prodotti altrettanto brevettati, e certificati Cee, ha conosciuto il successo pieno, ne ha spiegato i segreti: «Gli uomini imparano finché vivono, le aziende vivono finché imparano».

Ma non era in conto che tutti all’improvviso smettessero di pagare per un lavoro fatto. Che la crisi potesse avere questo strangolante risvolto negativo. «In Mongolia - racconta Ferro - avevamo già lavorato anni fa. Poi nel paese, che è in una fase di grande espansione e sviluppo, erano entrati i cinesi. Si erano inseriti nel mercato. Ma non è durato molto, perché la loro tecnologia si è rivelata di basso profilo. Così grazie alle fiere cui abbiamo partecipato, e alla conoscenze che abbiamo conservato nel paese, ci è arrivata questa commessa per dei grattacieli... Noi progettiamo le facciate e anche i prodotti, li facciamo testare e certificare, e poi li mettiamo sul mercato». In precedenza in Mongolia la Ferro Alluminio di Trieste aveva realizzato 8000 metri quadrati di facciate prefabbricate, particolarmente resistenti al freddo. E dunque vincenti in un paese dove l’inverno porta -40°, e -60°, e dove la capitale Ulan Bator è considerata la città con la temperatura media fra le più basse al mondo.

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