Commercio, sindacati e Chiesa si ribellano ai negozi “riaperti” dal governo

Proteste dopo l’impugnazione della legge regionale che imponeva dieci chiusure festive. La Uil: «Paese in mano alle lobby». La Curia: «Involuzione sociale». Il parroco ortodosso: «Un errore»
Tiare Shopping, centro commerciale di Villesse
Tiare Shopping, centro commerciale di Villesse

TRIESTE È quasi una ribellione quella che si leva dal mondo sindacale e da quello religioso nei confronti del Governo reo di aver impugnato la legge della Regione Friuli Venezia Giulia che imponeva dieci giornate di chiusure festive obbligatorie a negozi e supermercati. Dopo che il segretario regionale uscente della Cgil, Franco Belci già mercoledì aveva affermato che «per il Governo evidentemente il principio di concorrenza viene prima dei diritti dei lavoratori», ieri Giuseppe Fanìa segretario regionale Cisl è sbottato con un «Non ne possiamo più.

 

Commercio, no di Roma alle chiusure obbligate
Un negozio aperto la domenica

 

Gli obblighi europei sbandierati dal governo in realtà non esistono, basti vedere come i negozi chiudono in quasi tutte le altre nazioni a incominciare da Slovenia e Austria. Ci vogliono far credere che qui arrivano turisti ansiosi di fare acquisti anche la notte di Natale e intanto si distrugge la vita sociale del Paese perché i dipendenti del commercio (che in regione sono oltre quarantamila, ndr.) sono per il 70% donne che dunque si vedono gravate da un triplo onere: il lavoro ordinario, il lavoro a casa e il lavoro festivo. Mi auguro che la Regione voglia ricorrere e proseguire la battaglia: sarebbe un atto politico che apprezzeremmo molto». Sulla stessa linea Giacinto Menis segretario regionale Uil: «Bisogna insistere e anzi cercare alleanze con le altre regioni per portare avanti una battaglia unitaria. Noi a livello sindacale continueremo a fare pressioni e a lottare in tutte le sedi. La norma europea non è così vincolante come si vuole far credere, tant’è che ben poche nazioni si sono allineate. In Italia però le lobby hanno un forte peso, a cominciare da quella di Cobolli Gigli (la Federdistribuzione di cui riferiamo a parte, ndr.)». La norma regionale non era condivisa al 100%, ma comunque sostenuta anche da Confcommercio regionale che come sottolineato dal suo presidente Alberto Marchiori la considerava perlomeno «una provocazione volta a spingere il Parlamento a riformare la legge Monti».

 

La legge regionale sul commercio spiegata in un minuto

 

Una posizione severa è anche quella presa da don Ettore Malnati, vicario episcopale. «Il “no” di Roma - afferma - era purtroppo nell'aria. La disattenzione rispetto ai reali problemi del lavoro è un dato di fatto finora di questo Governo. Sottovalutare il riposo festivo di lavoratori e lavoratrici che hanno famiglia e quindi avrebbero diritto a trascorrere con marito, moglie e figli un giorno alla settimana in cui tutti dovrebbero essere liberi, è una involuzione sociale.

 

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Un negozio aperto la domenica

 

Ma su questo punto - aggiunge il religioso - bisognerebbe chiedere anche alle scuole di essere più attente nel non sovraccaricare di compiti gli studenti nei giorni festivi». Secondo don Malnati, «non è con l'apertura dei negozi nelle festività che si sana l'economia del Paese. Abbiamo visto che in passato - sottolinea - quando il Governo Andreotti ha spostato alcune festività infrasettimanali alla domenica, l'economia non ne ha guadagnato. Sarebbe opportuno - conclude - che si legiferasse in modo attento ai lavoratori e alle famiglie, oltre a rivedere la legge Fornero sulle pensioni e mettere mano a vitalizi scandalosi, portando le pensioni minime a un livello decente.

Questi sarebbero provvedimenti sociali attenti alla dignità dei lavoratori e delle famiglie, due componenti essenziali della nostra Costituzione». Non è una questione sentita solo in ambito cattolico. «La domenica è il giorno del Signore - commenta il parroco serbo-ortodosso Rasko Radovic - la gente dovrebbe venire in chiesa, ma se proprio non vuole almeno trascorrerlo in famiglia. È stato Papa Wojtyla ad affermare con forza che è la famiglia la cellula fondamentale della società».
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