Colibrì in Porto: la scelta di Monassi difesa da Martines
di Maddalena Rebecca
«Compiti di indirizzo, programmazione, coordinamento, controllo e promozione delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali e industriali esercitate nei porti». E ancora «manutenzione delle parti comuni nell’ambito portuale e opera nel settore dei trasporti e della logistica, promuovendo l’intermodalità». Anche a cercarla con attenzione, nella mission dell’Autorità portuale definita dall’articolo 6 della legge 84/94 non si trova traccia del nuovo ruolo che si prepara a giocare l’ente presieduto da Marina Monassi: quello di responsabile gestional-amministrativo del futuro Centro colibrì di Miramare.
Un ruolo per cui il Porto, si viene a sapere ora, si è di fatto autocandidato, pur non potendo vantare evidentemente competenze specifiche in materia di volatili originari del Sud America. E pur non esistendo alcun legame diretto tra la cura degli animali in voliera e le mansioni indicate nel suo “statuto”. In forza di quali credenziali, quindi, l’Autorità portuale si sia potuta far avanti e sulla base di quale criterio sia poi stata scelta da Stato e Regione, i due finanziatori dell’operazione colibrì, davvero si fatica a capirlo.
Dalla Prefettura, per ora non arrivano risposte ma l’invito ad attendere la stipula definitiva dell’accordo tra il ministero retto da Giancarlo Galan e la giunta Tondo, a cui seguirà l’illustrazione dettagliata di tutti i passaggi dell’affaire colibrì. Nell’attesa, però, una chiave di lettura la fornisce il direttore regionale ai Beni culturali Gian Giacomo Martines, convinto che il Porto non sia poi così estraneo al mondo nel quale si prepara a muovere i propri passi. «Non dimentichiamo che l’Autorità portuale ha anche una sua apertura verso la cultura - osserva Martines -. Apertura che è data dalla presenza a Trieste del Porto Vecchio (spazio in cui è stato ipotizzato proprio un possibile trasferimento futuro dei volatili ndr). Esiste insomma nella sua attività una chiara dimensione culturale».
A favore dell’investitura di Marina Monassi a regista del costituendo Centro, tra l’altro, potrebbe aver giocato poi un altro particolare: l’assenza di altri soggetti in corsa per quel ruolo. «L’indirizzo dato dal governo, anche su sollecitazione di Margherita Hack che ha difeso il ruolo di Trieste città della scienza, era che il nuovo Centro dovesse sorgere quanto più possibile vicino a questo territorio. Quando si è fatto avanti per la gestione un ente pubblico triestino, peraltro l’unico candidato, in grado di garantire una progettualità futura che tenga conto delle peculiarità del paesaggio e dei flussi turistici, ministero e Regione si sono trovati d’accordo».
Chi non sembra per nulla d’accordo, però, è il soprintendente Luca Caburlotto, convinto di esser stato esautorato. «Ma quale esautorazione - ribatte Martines -. Funziona da sempre così: quando in gioco ci sono accordi Stato-Regione, la competenza è del direttore regionale dei Beni culturali, chiamato a farsi parte attiva per attuare le direttive del ministro. Ai soprintendenti, che in questo caso saranno il responsabile ai Beni architettonici e il titolare dei Beni storico-artistici, spetterà poi il compito di esaminare e attuare concretamente i progetti».
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