Claudio Magris ricorda Cerne, custode della libreria Saba a Trieste

Francesco Codagnone
Mario Cerne all’interno della libreria Saba in via San Nicolò, in una foto scattata da Andrea Lasorte nel maggio del 2011
Mario Cerne all’interno della libreria Saba in via San Nicolò, in una foto scattata da Andrea Lasorte nel maggio del 2011

TRIESTE Mario Cerne era custode dell’«antro oscuro» ma capace di parole chiare, legato a Umberto Saba dalla fisicità dello spazio e dall’immaterialità dei libri ma distante da lui in mitezza e possibilità di comprendere quella «cosa terribile» che è la vita.

Morto Mario Cerne, “erede” della storica libreria di Umberto Saba a Trieste
Mario Cerne, storico titolare della libreria Saba

Lo ricorda così lo scrittore triestino Claudio Magris, seduto in un caffè, due traverse di lato l’antiquaria.

Sfuggente ma intenerito dalla notizia della scomparsa di colui che «seppe raccontarmi la libreria come ai miei occhi, da solo, non poteva apparire»: certo fatta di «descrizioni e aneddoti interessanti», ma soprattutto di «geometrie e angoli» in cui, tra mari di libri, «non rinchiuderci ma stare, e così sfuggire, almeno per un attimo, da quella cosa terribile che – ripete, rimugina – è la vita». E poi, farvi ritorno perché «in lui c’era un’empatia, una serietà umana: una presenza mite e significativa, accogliente».

Claudio Magris, foto Toniolo/Agf
Claudio Magris, foto Toniolo/Agf

Magris rammenta, nell’immediato, della «simpatia» e della «delicatezza» di Mario e prima di lui di papà Carletto, fu socio di Saba, entrambi per un secolo «capaci di farsi testimoni con noi tutti del mito e del buono del mondo sabiano»: un mondo letterario e animato da una «contraddittoria ansia di ricerca che lo stesso scrittore chiamava “santità”», e che però Mario Cerne «ha saputo incarnare con maggiore sensibilità, umanità, concretezza».

Mai infatti il libraio ha rischiato di confondersi con la retorica del poeta di cui custodì – e tenne aperto – il nascondiglio di via San Nicolò: in lui «non vi era traccia di quello spasmo divorante tipico dello scrittore Saba», del suo rapporto non facile con la realtà, della sua talvolta drammatica inquietudine; ma al contrario «un’apertura, un senso di accettazione e comprensione dell’esistenza».

Farà impressione, ammette Magris, «ritrovarmi a visitare quella libreria in cui è vissuto più di qualcuno che, per ragioni intellettuali e personali, mi fu caro»; ma rimane «alla città il dovere di conservare l’antiquaria come un piccolo monumento nel senso forte del termine»: non soltanto statue e busti, non un mausoleo in cui rintanarsi, come Saba interpretava il suo «antro oscuro». Ma uno «spazio in cui rifugiarsi solo un attimo, stare e ritornare: uno spazio della vita», come volle custodirlo Mario Cerne.

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