«Clandestini in cella noti alla Procura da sei anni prima del suicidio di Alina»

Caso Alina. Nessun giorno del giudizio, nessuna archiviazione per Carlo Baffi, l’ex capo dell’Ufficio immigrazione, per il suo vice Vincenzo Panasiti, per tre agenti in forza al Commissariato di...
Di Corrado Barbacini

Caso Alina. Nessun giorno del giudizio, nessuna archiviazione per Carlo Baffi, l’ex capo dell’Ufficio immigrazione, per il suo vice Vincenzo Panasiti, per tre agenti in forza al Commissariato di Opicina e per altri quattro della Questura. I nomi sono quelli dei poliziotti Thomas Battorti, 37 anni, assistente capo, Roberto Savron, 42 anni, assistente capo, e Ivan Tikulin, 40 anni, agente scelto in servizio al commissariato. Tutti finiti sotto inchiesta subito dopo il suicidio di Alina Bonar Diaciuk, poiché risultavano in servizio nel momento in cui la giovane ucraina aveva deciso di farla finita impiccandosi con una cordicella sfilata da una felpa. Ma anche quelli di Alberto Strambaci 48 anni, Cristiano Resmini, 45 anni, Alessandro De Antoni, 51 anni e Fabrizio Maniago, 46 anni, tutti in forza all’Ufficio immigrazione.

Il colpo di scena ieri nell’udienza preliminare davanti al gip Giorgio Nicoli. È spuntato l’estratto di un vecchio verbale del 2006, rintracciato con altri documenti da alcuni degli avvocati impegnati nelle indagini difensive. Si tratta di Giorgio Borean, Roberto Mantello e Paolo Pacileo. Nell’udienza a porte chiuse erano presenti anche gli avvocati Davor Blaskovic, Francesco Murgia, Giorgio Carta e Gianfranco Grisonich. Il documento - epurato da alcuni “omissis” dalla stessa Prefettura - fa riferimento al Comitato ordine e sicurezza all’epoca presieduto dal prefetto Anna Maria Sorge Lodovici. La data è quella del 14 novembre. Quella mattina gli allora questore Domenico Mazzilli, comandante dei carabinieri Enzo Fanelli e della finanza Giorgio Pani avevano partecipato al vertice presieduto dallo stesso prefetto Sorge. Con i vertici delle forze dell’ordine quel giorno c’era anche un rappresentante della Procura il cui nome, nell’estratto consegnato dagli avvocati al giudice, è stato cancellato da un “omissis”.

La discussione prevista dall’ordine del giorno di quell’incontro ufficiale del 2006 aveva riguardato proprio la procedura operativa da adottare nei confronti dei cittadini extracomunitari destinatari di un provvedimento di espulsione. Procedura poi che si è concretizzata nei “fermi” degli extracomunitari irregolari sul territorio nazionale da allora e fino al mese di aprile 2012, quando il caso Alina è scoppiato con il suicidio della giovane ucraina nella cella di sicurezza del Commissariato dov’era trattenuta in attesa che nel week end fossero perfezionate le pratiche per l’esplusione.

Quel documento - al quale è stato appunto tolto il nome del rappresentante della Procura - e le successive e conseguenti circolari della Questura dimostrerebbero che gli agenti dell’Ufficio immigrazione hanno per sei anni eseguito le indicazioni emerse da quella riunione in Prefettura alla quale appunto era stato presente un rappresentante della Procura. E questo, secondo i difensori, significa che la stessa Procura era a conoscenza della procedura che dopo il 2012 è stata ritenuta - correttamente - fuori legge. Ma ieri è stato anche il giorno in cui l’avvocato Andrea Diroma ha depositato per conto di cinque cittadini senegalesi (figurano tra le 159 parti offese) la costituzione di parte civile. Questi cinque extracomunitrari che erano stati trattenuti nel Commissariato di Opicina in modo - poi emerso dalle indagini - illegittimo e illegale si apprestano insomma a chiedere il risarcimento dei danni subiti allo Stato. E riguardo sempre la questione del risarcimento - questa volta nei confronti dei familiari di Alina - Debora Braghi, il legale subentrato all’avvocato Sergio Mameli, morto a dicembre, ha comunicato di aver ricevuto la somma di 150mila euro dal ministero degli Interni. Il prezzo della vita di Alina. L’udienza è stata aggiornata al 10 maggio.

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