Cividin e Settimo a rischio fallimento

I due costruttori bussano in Tribunale per chiedere l’ammissione al concordato e scongiurare la chiusura causata dai debiti
Un cantiere edile in centro a Trieste in un'immagine di repertorio
Un cantiere edile in centro a Trieste in un'immagine di repertorio

Questi, si sa, sono tempi difficili nel giro delle costruzioni. Per due totem del settore però, nomi pesanti nella storia economica della città, va pure peggio. Sono tempi durissimi. E, adesso, pure decisivi. I destini di due realtà imprenditoriali di seconda generazione come Cividin e Settimo passano ora per il Tribunale, con l’obiettivo di realizzare, ognuna per sé, un piano di abbattimento delle esposizioni debitorie, e di scongiurare così il fallimento, la chiusura. Sia la Cividin Costruzioni Srl che la Settimo Costruzioni Generali Srl (i cui amministratori unici sono rispettivamente Donatello Cividin e Alessandro Settimo, l’uno successore dell’altro nel recente passato a capo dell’Ance, l’Assocostruttori provinciale, oggi presieduta da un ulteriore nome di peso del comparto qual è Donato Riccesi) hanno deciso infatti, e proprio di questi tempi, di bussare alle porte di Foro Ulpiano per reclamare l’ammissione al cosiddetto concordato preventivo: una procedura che, in caso di ammissione del Tribunale, costituisce appunto per legge una possibile alternativa al fallimento, a patto che il piano di rientro dai debiti incassi il placet dei creditori stessi. Sostanzialmente ciò che stanno vivendo, nella più clamorosa delle vicende triestine, le Coop operaie, la cui adunanza dei creditori sul concordato è in agenda il prossimo giovedì.

Ma torniamo a Cividin e Settimo. Il dettaglio delle cifre come lo stato degli incartamenti a Foro Ulpiano, il punto-nave delle procedure giudiziarie in atto, non sono al momento noti. Il riserbo degli imprenditori coinvolti per ora è massimo e comprensibile. La notizia che le due società (in autonomia l’una rispetto all’altra, a scanso di equivoci) hanno imboccato la strada del concordato per evitare la chiusura, però, è confermata dalle visure visionabili al Registro delle imprese della locale Camera di Commercio. Da tali visure, estratte nei giorni scorsi, si può dedurre che una procedura è più avanti dell’altra. In entrambe le Srl s’è già optato per «presentare al competente Tribunale la domanda di ammissione della società alla procedura di concordato preventivo». La visura della Cividin Costruzioni ha però una postilla che evoca letteralmente un «ricorso per ammissione concordato preventivo». Cividin insomma, oltre ad avere già deciso di chiedere il concordato, l’ha pure già chiesto e, da quanto si evince dalla visura datata come detto pochi giorni fa, è in attesa di una risposta del Tribunale.

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Un’altra conferma viene infine dallo stesso Donato Riccesi, presidente in carica dell’Ance triestina, che non nasconde la propria difficoltà, soprattutto umana, al che gli si chiede un commento. «Questa - così Riccesi - è la testimonianza di quale portata abbia la crisi che investe il nostro settore. Una crisi arrivata ormai al settimo anno, dato che è iniziata proprio nell’immobiliare a fine 2008 al di là dell’Atlantico. Le imprese di costruzioni da una parte vivono con i lavori pubblici, e in Italia per i lavori pubblici si investe meno della metà rispetto al Pil in confronto a Francia e Germania, mentre le procedure durano anche sette od otto anni anziché due o tre, e dall’altra vivono con le commesse private dal mondo dell’industria e da quello del commercio, commesse bloccate anche da uno stato diffuso di sfiducia che è come un virus, si diffonde. A livello territoriale stiamo assistendo a politiche nuove, volte a stimolare la ripresa di un comparto che è strategico ovunque. Mi riferisco alla legge regionale sul recupero edilizio e al dialogo tra la stessa amministrazione regionale con gli Stati generali delle costruzioni, oltre che al nuovo Regolamento comunale per l’occupazione del suolo pubblico. A livello nazionale, invece, da Monti in poi, non stiamo ancora intravvedendo cambi di rotta, a cominciare da misure fiscali che non deprimano la proprietà». Mettiamoci insomma le tasse, e con esse il Patto di stabilità e la burocrazia italiana, più ortodossa a Trieste negli ultimi anni, anche per la ferrea vigilanza dell’ex soprintendente Picchione, ed ecco che non è balzano desumere che qui la crisi si è mostrata, a tratti, persino più virulenta che altrove.

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