Civica benemerenza al Burlo nei 160 anni della sua storia

Lunedì 14 novembre alle 10 nella sala del Consiglio comunale la cerimonia dedicata all’istituto. Partito con i 12 posti letto del 1856 oggi è un punto di riferimento scientifico
L'ospedale infantile Burlo Garofolo
L'ospedale infantile Burlo Garofolo

TRIESTE Esattamente il 19 novembre 1856 aprì in pompa magna, alla presenza dell'imperatrice d'Austria Sissi in una delle sue pochi visite in città, l'Ospedaletto dei bambini, nella “patria” degli armeni, in via Giustinelli. È lì, al pianterreno dell'ospizio dei padri mechitaristi, sul colle di San Vito, che «in posizione salutare, benissimo ventilato e lontano da ogni strepito od incomoda vicinanza», come descriveva all'epoca l'Osservatore Triestino, vide la luce il futuro Ospedale pediatrico Burlo Garofolo.

Sono passati 160 anni dalla fondazione e il Comune rende omaggio alla data con il conferimento, oggi, lunedì 14 novembre, alle 10 nella sala del Consiglio comunale, della Civica benemerenza. Sarà consegnata dal sindaco Roberto Dipiazza al direttore generale Gianluigi Scannapieco.

Il nuovo “Ospitale per bambini” era stato in realtà battezzato il giorno prima dalla moglie del governatore della città, la baronessa Maria Alessandrina de Langenau-Mertens, che costituì un comitato di cui facevano parte anche il barone Pasquale Revoltella, il cavaliere Achille Carcassone, direttore dell'Istituto generale dei poveri, e il dottor Alessandro de Goracuchi: 105 fondatori, e 50mila fiorini per dare avvio alla buona causa. Il primo direttore fu Antonio Lorenzutti, pronto a dirigere 12 posti letto, divenuti poi 24, quattro infermiere e due ancelle della Carità, che curavano i “necessitori pargoletti” a titolo gratuito con il dottor Antonio Comelli. Un luogo dedicato a fanciulli e fanciulle, di tutti i culti, affetti da “morbi curabili” e realmente poveri. Da lì in poi, molti i traslochi per l'ospedale dei bambini. Il primo nel 1869 da San Vito a Chiarbola superiore, in via del Bosco 4.

Nel 1900 i posti letto erano già 80 e del consiglio d’amministrazione erano entrati il barone Demetrio Economo e il primario Sebastiano Gattorno. Ancora nessun indizio porta all'attuale denominazione. È infatti nel 1907 che la baronessa Maria Anna Laura Garofolo nata Burlo esegue un lascito fondazionale di 200mila corone austriache. In cambio l'ospedale prese il suo nome. Ma le evoluzioni da allora in poi furono tante, e importanti. Dal trasferimento, non senza difficoltà, dal 1932 in via dell'Istria, a Villa Busquet, l'attuale sede della Clinica pediatrica. Spuntarono più padiglioni, arrivando a 600 posti letto. Altra novità nel ’55: la Scuola per puericultrici e vigilatrici d'infanzia. Cui si aggiunsero due classi di materna e sei corsi elementari per i periodi di lunghe degenze, durante i grandi freddi. L'annus gloriae fu il 1968, quando il Burlo ottenne dal Ministero della salute il riconoscimento di Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs): nacquero la Clinica pediatrica e l'Istituto di puericultura dell'ateneo.

L’ospedale per bambini di Trieste divenne così il centro specialistico più importante della regione. «Da questo momento in poi l'identità del Burlo è stata anche quella di fare ricerca - spiega Scannapieco -, compito istituzionale strettamente legato all'assistenza, quindi una ricerca pratica che deve portare i risultati sul campo, vicini al malato. E poi c'è la terza dimensione ovvero l'università, quindi la didattica, attività integrante del Burlo». È questa insomma l'epoca che sancì il cambiamento della cultura pediatrica del Burlo Garofolo quale modello per tutta l'Italia e a livello internazionale grazie a due padri innovatori in particolare, Franco Panizon e Sergio Nordio.

Uno dei più antichi ospedali pediatrici europei, oggi con 136 posti letto e un ruolo di coordinamento della rete pediatrica in regione, riuscì grazie ai due luminari a fare la differenza. Franco Basaglia rivoluzionava la psichiatria, loro la pediatria. «In quegli anni a Trieste - conferma Scannapieco - c'era aria di cambiamento. Il Burlo ha aperto le porte dell'ospedale ai famigliari e ha introdotto il day hospital, oggi dato per scontato ma allora rivoluzionario, pensando al bambino in quanto tale anche quando era malato». I padri fondatori ormai non ci sono più ma i loro allievi portano avanti il lavoro, con devozione al modello. Tra questi Salvatore Alberico, dal '79 al Irccs, ex primario dell'Unità operativa complessa di Ostetricia e Ginecologia, in pensione da poco, che ha fatto nascere tre generazioni.

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