«Cittavecchia, qui viviamo nel degrado»
Abitanti, esercenti e albergatori: «Di notte i ragazzi usano le stradine per bere e spinellare»
Bisogna ogni giorno lavare la pipì degli umani, togliere la cacca dei cani, piegare la schiena per raccogliere cartoni odoranti di pizza e lattine di birra naturalmente vuote. Lavorare in zona Cittavecchia-Urban impone dure ore straordinarie in vesti di netturbino. La gente, qui, sporca a man bassa, senza timore e senza pudore.
Lo dicono i rari esercenti dell’area che hanno inviato una pioggia di lettere dopo che il ricostruito colle storico della città è stato descritto come un deserto vivente. «Ci siamo pur noi» dicono gli albergatori (sono cinque), il ceramista, il gioielliere, il ristoratore che sta sotto l’Arco di Riccardo. Poi, essendoci, hanno di che riferire: di notte i ragazzi usano le antiche stradine con le case ristrutturate ma assai disabitate come un bel posto per bere, fumare, spinellare in pace. Se si ha un’attività pubblica e non si vuol sembrare trasandati, ogni tre-quattro mesi è necessario chiamare gli imbianchini e ridipingere le pareti esterne per cancellare i vistosi graffiti. Che subito dopo tornano lì, sgargianti. Costosi.
Poi ci sono i problemi più gravi e più grevi: «I turisti degli alberghi si lamentano del degrado», «i lavori mai finiti danneggiano le attività», «qui tutti hanno comprato seconde case, vengono solo nel fine settimana, segno che la zona è pregiata, però...». Centotrenta firme sono state inviate in Comune lo scorso ottobre soprattutto lamentando la situazione di Crosada: lavori in corso dal 2001, percorso pedonale verso via dei Cavazzeni interrotto, «cantiere dissestato e pericoloso», «i turisti dei cinque alberghi scivolano sulle vie sdrucciolevoli», «le attività commerciali di via Capitelli, Crosada e Sporcavilla ne risentono, i loro immobili stanno subendo un deprezzamento per l’aspetto dell’arredo urbano trascurato».
«Se lo scopo della ristrutturazione Urban era di tipo urbanistico e sociale - dice una negoziante che si affaccia su piazza Cavana e ne sente d’ogni colore da colleghi e residenti - diciamo che almeno la seconda parte dell’obiettivo non è stata raggiunta in pieno: e sono passati dieci anni...».
Dice invece il principale albergatore, che ha lasciato a Jesolo gli affari da 6000-7000 euro al metro quadrato per spostarsi qui dove una ristrutturazione da 2000 gli è sembrata il regalo di Natale: «Il sindaco dovrebbe decidersi a fare un’ordinanza col divieto di bere fuori dai locali, altrimenti noi allontaniamo questi ragazzi ma ci rispondono con insolenza, ”che cosa vuoi qui, tu?”. Il problema - prosegue - è che nella zona di Crosada ci sono due pubblici esercizi che non mettono a disposizione dei clienti la toilette: è mai possibile? Noi tutte le mattine a buttare secchiate di acqua e disinfettante...».
E questa è gente che ha speso, ristrutturato, investito, e sta combattendo per tenere alta la bandiera. Anche se intorno c’è appunto un deserto: «Ma se qualcuno volesse aprire negozi - prosegue l’albergatore - non può, è vietato perché le case sono vincolate dalla Soprintendenza, se c’è una grata alla finestra non si può togliere, se non c’è non si può aggiungere, per avviare un’attività bisogna alzare i soffitti altrimenti l’Azienda sanitaria non dà il visto dell’abitabilità, e chi volesse trasformare un piano basso in foro commerciale si vedrebbe proibita la creazione dell’indispensabile vetrina».
Da un lato, e lo scrivono quattro imprenditori, tira su il morale che «il 90 per cento degli immobili è stato rilevato da acquirenti da fuori città che hanno ben capito il pregio e il valore del rione d’epoca», dall’altro essi stessi ammettono che pertanto le case sono abitate solo nei fine settimana o nelle vacanze e che «le lungaggini e l’abbandono dei lavori non hanno ancora dato al perimetro un volto accattivante degno dell’ingresso al colle di San Giusto».
«Vorremmo leggere - scrivono altri - di un centro storico riqualificato e qualificante della vocazione turistica di questa città, ma per questo è necessario completare tutti gli interventi, soprattutto quelli che aspettano da più anni di essere conclusi, permettendo così a residenti e commercianti di non rinunciare ai loro progetti».
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