«Città metropolitana esclusa dallo Statuto regionale»
Non ci sarà la città metropolitana di Trieste. A meno di non rimettere mano alla legge costituzionale (com’è lo statuto regionale del Friuli Venezia Giulia) arrivata a Roma ma non ancora calendarizzata alle Camere. Tutti la vogliono, ma la città metropolitana di Trieste è stata cancellata quasi all’unanimità dal Consiglio regionale durante la seduta pomeridiana d’aula del 29 gennaio 2014. La modifica dell’articolo 6 («La Regione può prevedere la costituzione di città metropolitane») è stata eliminata con l’approvazione di due emendamenti (uno soppressivo del gruppo M5S, l’altro sostitutivo di Sel). «È vero. Nella mia legge di riforma degli enti locali non c’è la città metropolitana, perché non c’è nella legge statutaria che abolisce le province dopo un voto quasi unanime dell’aula consiliare, compreso il M5S. Gli unici astenuti furono i Cittadini» spiega l’assessore regionale alle Autonomie locali Paolo Panontin. «Nella mia riforma non parlo di città metropolitana perché c’era quel voto da rispettare. Intendiamo comunque dare dignità all’area giuliana. Qualche idea c’è» aggiunge Panontin. Non sarà la città metropolitana immaginata da Delrio. «Il problema è di forma più che di sostanza. Noi vogliano dare all’area giuliana tutte le prerogative di un’area metropolitana», insiste l’assessore.
Quello che è certo che Trieste non sarà una città metropolitana al pari di Roma, Milano, Torino, Genova, Bari, Bologna, Venezia, Reggio Calabria e Cagliari (proposto dalla Sardegna). «Sono da sempre personalmente favorevole alla città metropolitana» attacca il sindaco Roberto Cosolini. «Va però detto che una pietra tombale sulla città metropolitana l’ha messa il Consiglio regionale con una decisione affrettata quanto inopportuna sulla legge statutaria di eliminazione delle Province. È stato un voto trasversale nel quale c’era anche il Movimento 5 Stelle. Mi fa piacere apprendere che oggi Prodani la pensi diversamente dai suoi consiglieri regionali» aggiunge Cosolini. «La legge Panontin sugli enti locali è una buona legge per la gran parte della Regione. Il caso di Trieste è però diverso. Qui l’unione sarebbe tra un soggetto (Trieste) che ha oltre 200mila abitanti e altri soggetti (i comuni minori) che in 5 fanno 30 mila e 800 abitanti. Serve qualcosa che riconosce la specifica dell’area metropolitana-giuliana».
Non sarà probabilmente l’ente città metropolitana introdotta dalla legge Delrio. Quello da evitare, come spiega Maria Teresa Bassa Poropat presidente della Provincia, è un passo indietro rispetto all’organizzazione provinciale. «Il territorio di Trieste rispetto al resto della regione è un territorio particolare sia per la presenza della comunità slovena che di un Comune come Trieste che assorbe quasi la totalità del territorio e degli abitanti. L’autonomia dei comuni minori va salvaguardata. Non mi sono mai espressa a favore di un concetto di città metropolitana, ma piuttosto di un’area metropolitana che superi anche i confini provinciali. Ma soprattutto bisogna evitare di dividere il territorio. Sarebbe un errore madornale dopo tutto quello che ha fatto la Provincia in questi anni».
In tutta questa storia c’è anche il rammarico del senatore Pd Francesco Russo, spesso inascoltato. «Come relatore al Senato della legge Delrio ho creduto e difeso fino in fondo la proposta delle città metropolitane e al di là dei localismi e delle inerzie che da decenni tengono ferme le istituzioni del Paese credo che la politica non solo triestina ma regionale abbia il dovere di avere quel pizzico di coraggio, ambizione e visione necessaria per immaginare un’area vasta che unisca tutta la Venezia Giulia, da Monfalcone a Muggia» dice il senatore. Che coltiva ancora il sogno: «La mia non vuole essere affatto una crociata campanilista, tutto il contrario: io sogno un nuovo progetto di collaborazione e partecipazione non contro ma a favore, una glocalizzazione che si sviluppi attraverso una condivisione di servizi, un ampio spazio di autonomia per le minoranze e uno sviluppo della comune vocazione portuale. Anche a costo di rischiare di scontentare qualche sindaco o assessore».
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