Cimeli di guerra, il boom dei “cacciatori”

Un esercito di 400 "recuperanti" in crescita che si muove lungo gli antichi fronti. Dagli anni ’90 gli appassionati sono cresciuti in modo esponenziale

di PIETRO SPIRITO

In tutto il Friuli Venezia Giulia sono circa quattrocento, un centinaio solo a Trieste. Ma i numeri, almeno per quanto riguarda la nostra regione, sono solo indicativi. Perché l'esercito dei recuperanti è una compagine variegata, a volte sfuggente, il più delle volte rispettosa delle leggi ma in qualche caso - pochi - prossima a categorie fuorilegge come quella dei tombaroli, o peggio, dei bombaroli.

È un esercito che si muove lungo gli antichi fronti di guerra, campi di battaglia a volte dimenticati, pendii di montagne dalle quote passate alla storia. Studiano sui libri, osservano fotografie d'epoca, si procurano antiche mappe militari e poi si mettono in marcia per scovare nelle trincee, sui declivi, nei boschi e fra l'erba una fibbia, una gavetta, un elmetto, una spilla o un'arma, qualsiasi cosa sia testimonianza diretta dei combattimenti di un secolo fa. Le zone sono grossomodo conosciute: nella nostra regione tutto il fronte dell'Isonzo è una miniera a cielo aperto per i recuperanti.

E il fenomeno è in rapida in espansione: è dai primi anni Novanta che il numero degli appassionati collezionisti di militaria, cioè tutti quegli oggetti relativi alle guerre e alle dotazioni militari - dai bottoni delle divise alle armi - è cresciuto in maniera esponenziale. Complice la messa sul mercato dello strumento principe per ogni ricerca di questo genere: il metal-detector. È da una ventina d'anni, infatti, che hanno fatto la loro comparsa sul mercato metal detector di marche come la Fisher o la Garret, strumenti sempre più sofisticati e dai costi più che contenuti, alla portata di chiunque, in grado di alimentare più o meno latenti passioni per la ricerca dei reperti bellici. Internet, con il proliferare di forum dedicati, siti web e gruppi social, ha fatto il resto, e oggi sono diverse migliaia solo nell'Italia del Nord gli appassionati cacciatori di reperti.

E se un tempo un regista come Olmi poteva raccontare in un film-cult come "I recuperanti" la storia di Gianni, giovane pronto a rischiare la vita pur di sbarcare il lunario, oggi la romantica figura del recuperante di mestiere è scomparsa, lasciando il posto a quella del ricercatore appassionato al servizio della Storia.

A proposito di Storia, stiamo sempre e solo parlando di Prima guerra mondiale, perché tutta la militaria di epoche precedenti appartiene ai Beni culturali, e anche un solo bottone d'epoca, dall'Ottocento in su, deve essere - se trovato - consegnato allo Stato. Perché se la compagnia dei recuperanti è vasta e variegata, altrettanto lo sono le norme che regolano e tutelano la caccia al reperto bellico. In particolare, per quanto riguarda i cimeli della prima guerra mondiale si parla di oggetti abbandonati, e quindi in libera disponibilità, in virtù di un regio decreto del 1931 che toglieva alle ditte di bonifica, quando ormai il business non era più redditizio, il monopolio della raccolta dei cimeli e metalli vari, e demandava alle Regioni di legiferare in materia (per i resti della seconda guerra mondiale, invece, non c'è ancora alcuna norma).

Nel Fri. uli Venezia Giulia la recente legge numero 11 del 4 ottobre 2013 regola la "valorizzazione del patrimonio storico-culturale della Prima guerra mondiale e interventi per la promozione delle commemorazioni del centenario dell'inizio del conflitto, nonché norme urgenti in materia di cultura". Secondo l'articolo 10 della legge "la raccolta e la ricerca di beni mobili (…) è permessa purché si tratti di reperti e cimeli individuabili a vista o affioranti dal suolo". Insomma gli oggetti, siano spille, gavette o baionette, si possono raccogliere, ma senza scavare (tutto ciò che si trova sottoterra o sott'acqua appartiene sempre allo Stato) e soprattutto senza invadere né le aree archeologiche né i cimiteri di guerra o le cosiddette "aree sacre". Inoltre, quando si trova qualcosa - armi comprese, specie se non degradate o inservibili - bisogna comunicarlo obbligatoriamente a Comune di competenza entro sessanta giorni dal ritrovamento. Va da sé che quando a saltar fuori è un ordigno bisogna immediatamente avvisare le forze dell'ordine.

La legge c'è, dunque, ma in buona sostanza lascia mano libera ai recuperanti. In altre regioni la musica è diversa. Il Trentino Alto Adige deve ancora legiferare, mentre il Comune di Bolzano ha tagliato la testa al toro vietando qualsiasi tipo di ricerca su tutto il suo territorio. In Veneto, invece, la legge c'è ed è più restrittiva di quella del Friuli Venezia Giulia: il Dgr 952 del 2011 prevede l'emissione di un apposito patentino di "recuperante", o tramite associazioni riconosciute oppure da "privatista". In quest'ultimo caso condizione sine qua non è aver ottemperato al servizio militare ed essere in possesso del porto d'armi.

«Ma se la richiesta viene presentata tramite associazione è quest'ultima a fare da garante», spiega Alfredo Tormen, presidente dell'Associazione "Il Piave 1915-1918", che con i suoi settecento iscritti (sessanta dei quali della nostra regione e una ventina di Trieste) è una delle più grandi associazioni di recuperanti. Solo negli ultimi cinque anni la Regione Veneto ha rilasciato oltre 1500 patenti da recuperante, la gran parte delle quali attraverso società di studi storici riconosciute. «Per ottenere la patente regionale - spiega Tormen - organizziamo per i nostri associati appositi corsi di formazione, in cui studiamo le leggi vigenti, l'uso dei metal-detector, indichiamo cosa si può raccogliere e cosa no, come bisogna comportarsi durante la ricerca e ovviamente non manca un corso apposito sugli esplosivi, come riconoscerli e cosa si deve fare o non fare quando se ne trova uno».

«I nostri scopi - continua Tormen - sono ovviamente culturali: la promozione di mostre e incontri, la tutela del patrimonio e delle collezioni private, la diffusione di notizie e studi di carattere storico». Va da sé che, a dispetto di norme e patentini, esiste un sommerso difficilmente quantificabile. «Ci sono tre tipi di persone che possono danneggiare la nostra attività - spiega il presidente della "Piave" -: i tombaroli, cioè chi va a caccia di reperti archeologici o tutelati, i bombaroli, vale dire chi non denuncia o raccoglie ordigni inesplosi e chi devasta la natura, vale a dire chi scava e lascia buchi nel terreno a dispetto dei divieti». Questo in Veneto. Nel Friuli Venezia Giulia, invece, dove il patentino non è previsto, la realtà dei recuperanti è più mobile e difficile da quantificare. Qui la regola prima, oltre all'osservanza delle leggi, rimane il buon senso.

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