Ciao città, si torna alla terra: è “wwoofing mania”
TRIESTE. Mentre c’è chi va in vacanza a Ibiza, alle Baleari o a Cortina, qualcuno decide di trascorrere il proprio tempo in campagna o iniziare un vero e proprio percorso in agricoltura. «Non si tratta di vitto e alloggio in cambio di lavoro, non è una vacanza low cost» spiega subito Claudio Pozzi, presidente di Wwoof Italia, una sigla che sta per “World wide opportunities on organic farm”, l’organizzazione che promuove in diversi modi innanzitutto uno stile di vita in armonia con la natura.
Le strutture ospitanti, host, che sarebbero delle realtà agricole, accolgono turisti-lavoratori di ogni età, detti wwoofer: in cambio di vitto e alloggio, aiutano l’azienda agricola nei vari aspetti dell'attività quotidiana.
Nel nostro Paese Wwoof è nata dapprima agli inizi degli anni ’90, adottando poi uno statuto tra il ’98 e il 2000 e arrivando oggi a «più di 800 realtà iscritte e 5300 viaggiatori in Italia, di cui il 40% sono italiani» spiega Pozzi.
Le aziende agricole si presentano di piccole e medie dimensioni, al 100% biologiche, «ma non per forza certificate», o ci sono altre che vogliono solamente essere autosufficienti. Si va dall’apicoltura alla panificazione, alla cucina vegana, alla viticoltura. Ma la terra madre in cui i bulbi sono fioriti è stata l'Inghilterra nel 1971.
Tutte le regioni italiane sono coperte dal circuito Wwoof Italia. Il Friuli Venezia Giulia ne offre circa 20, soprattutto nel territorio di Udine, «triplicate negli ultimi due anni» sottolinea Andrea Manfé, coordinatore per la regione assieme a Martina Tesolin, entrambi ex wwoofer. Sono loro che vagliano le richieste attraverso diverse visite conoscitive.
I wwoofer in questo territorio fanno di solito esperienze estive, ma qualcuno si ferma addirittura per cinque, sei anni. C'è anche chi, «vista la situazione sociale, magari è in cassa integrazione o ha perso il lavoro - spiega Manfè - e con Wwoof si rimette in gioco, ma in genere sono tutti molto motivati».
Quasi ogni Paese raccoglie questa associazione, che «è soprattutto un movimento educativo» spiega Pozzi. Il periodo minimo che viene consigliato per ospitare le persone è dai dieci giorni in su, «alcuni poi avviano la propria azienda».
La quota associativa in Italia è di 35 euro, un costo che sostiene poi alcuni progetti e poco personale, perché il resto delle persone, come gli oltre coordinatori regionali, sono volontari. Condivisione del lavoro è la parola-chiave che caratterizza ogni relazione che s’instaura tra host e wwofer, come dimostrano alcuni degli host del territorio in Fvg.
Andrea Rizzo, 40 anni, host da quest’anno, che produce dal 2002 vino e ora succo di mela a Nimis nella sua azienda agricola il “Feudo dei gelsi”, a Ferragosto ha messo assieme una tavolata multietnica di 13 persone con i quattro continenti, da cui provengono i suoi nuovi e vecchi wwoofer accompagnati da qualche parente o amico. Un veterano del Wwoof è Nivio Dellapietra, host da 15 anni per garantire l’autosufficienza alla propria famiglia a Cercivento, vicino Udine. «Stiamo indagando con i nostri wwoofer su chi potrebbe continuare questo nostro percorso - dice - perché i nostri figli hanno preso altre strade».
A Trieste una signora che ha un terreno sopra San Giovanni alta, convinta dai figli, si è lanciata nell’esperienza Wwoof e ha già ricevuto più di 50 richieste. Per il momento ha ospitato solo tre donne, di cui due architetti di 64 e 31 anni provenienti dall’Irlanda e dagli Stati Uniti. In Val d’Arzino invece, nel pordenonese, Mevania Marchi dal 2005 coltiva per passione lavanda officinale e ibrida. Ospita aiutanti da quattro anni: «Diventiamo così - sottolinea - una grande famiglia».
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