Chiusa la sala del Consiglio comunale di Trieste: il soffitto scricchiola, disposta la verifica statica
TRIESTE Cesare Dell’Acqua avrebbe qualche ragione di perplessità. Perlomeno scaramantica. La sua “Prosperità commerciale di Trieste” domina da quasi 150 anni l’aula del Consiglio comunale. Allegoria benaugurante, da epoche all’insegna di un ottimistico sentire.
Ma l’altro giorno, in seguito alle analisi tecniche effettuate, è saltato fuori che il soffitto della sala presenta problemi di solidità. A incombere sulla classe dirigente politica tergestina: Panteca, Razza, Porro, Grim, Bertoni, Morena... Così, onde evitare di mettere a trasversale repentaglio la sicurezza dei cinquanta decurioni (compresa la giunta) e del personale addetto, il cuore della civica istituzione è stato chiuso e analogo provvedimento dovrebbe essere stato assunto per gli uffici del terzo piano, che afferiscono all’area finanziaria e che si estendono proprio sopra l’aula.
Fortuna nella sfortuna, la non conclusa emergenza sanitaria tiene al momento lontani dalla zona consiglieri, assessori, dipendenti, per cui la questione è sicuramente urgente ma nel breve periodo governabile.
Elisa Lodi, assessore ai Lavori pubblici, vuole comunque risolvere il prima possibile la faccenda, perché «il vulnus al simbolo della vita politico-istituzionale cittadina va subito affrontato». A giugno si avranno le risultanze di un’ulteriore verifica sulla statica del soffitto, a cura di un professionista esterno incaricato, l’ingegner Giorgio Altin. Altin trasmetterà la sua prognosi alla dirigente del servizio edilizia pubblica, Lucia Iammarino, e si valuteranno le misure da prendere, in termini operativi e finanziari.
Si ritiene vi siano gli elementi di “somma urgenza”, previsti dall’articolo 163 del Codice degli appalti, quindi, una volta esaminata la portata si dovrebbe procedere a un affidamento diretto dell’appalto risanatore. Senza bisogno di drenare nuove risorse, perché sulla priorità consiliare verrebbero spostati fondi al momento dedicati al risanamento delle facciate del palazzo municipale.
Per diretta competenza la Iammarino era stata la prima a essere avvisata del pericolo e aveva a sua volta allertato il segretario generale Santi Terranova e il responsabile dei Lavori pubblici Enrico Conte. A cascata, ne fu reso edotto il sindaco Dipiazza.
Che il grande palazzo, costruito tra il 1873 e il 1875 su progetto di Giuseppe Bruni (autore anche del dirimpettaio palazzo Modello), abbia da tempo qualche malanno, è cosa ben nota a chi dentro ci lavora. L’inclinazione dell’edificio verso sud (direzione Cavana) è avvertibile da chi deve “fermare” sedie e tavoli per limitarne lo scivolamento. Al secondo e al terzo piano il personale ha diretta esperienza del disagio, come ricorda lo staff del “vicario” Fabio Lorenzut quando venne trasferito da palazzo Gopcevich.
L’edificio, frutto di un incrocio architettonico neo-rinascimentale e neo-barocco, non piacque inizialmente ai triestini, che gli tributarono soprannomi poco lusinghieri come “cheba”, “budel de leonfante”, “castel de mandolato” ...
Il palazzo venne analizzato da autorevoli studiosi come Franco Firmiani, Maria Walcher, Bianca Favetta che nel 1975 co-firmarono un libro, prefatto da Decio Gioseffi, uscito in occasione del centenario dell’inaugurazione: il giudizio del popolo venne emendato e Firmiani ebbe a scrivere di «un edificio notabile tra i più celebrati che nel genere si producessero in Europa e nel mondo in quegli anni». —
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