Chiude la Diaco, cento lavoratori a casa

L'industria, che produce soluzioni fisiologiche per fleboclisi, è la più importante azienda farmaceutica della provincia. L'amministratore Pierpaolo Cerani: "Ci sono persistenti difficoltà economiche". I sindacati: "Un fulmine a ciel sereno"
Pierpaolo Cerani
Pierpaolo Cerani
Con un fax di cinque righe ha mandato a casa cento persone. Sono i dipendenti della Laboratori Diaco Biomedicali, la più importante azienda farmaceutica della provincia. Producono, o meglio producevano, soluzioni fisiologiche per fleboclisi. L’amministratore che ha firmato la stringata comunicazione per i sindacati è l’imprenditore Pierpaolo Cerani.


La lettera di cinque righe di Cerani è stata inviata ai dipendenti, alle organizzazioni sindacali, a Regione, Provincia e Agenzia del lavoro. Oggetto: Cessazione attività dei laboratori Diaco biomedicali Spa. È lapidaria: «Informiamo - si legge - che l’Azienda stante le persistenti difficoltà economiche cesserà l’attività produttiva nello stabilimento di Trieste. Nei prossimi giorni sarà reso noto il calendario delle procedure della dismissione delle attività produttive». Poi alla fine c’è anche lo zuccherino, se così si può chiamare: «Si ringraziano le maestranze che fino ad ora hanno collaborato».


Insomma a casa. O meglio in cassa integrazione e poi in mobilità.

Increduli i sindacati. «Nessun confronto è stato attivato - si legge in una nota delle segreterie Filctem Cgil, Femca Cisl e Uilcem Uil - Non è dato di conoscere la reale situazione dell’azienda sia dal punto di vista finanziario che delle commesse in atto. Denunciamo la mancanza di relazioni sindacali e la gravità del comportamento della proprietà che da un giorno all’altro mette in strada più di 100 lavoratori e lavoratrici». E poi l’annuncio: «Abbiamo immediatamente chiesto un urgente incontro al prefetto e l’apertura di un tavolo per affrontare e trovare risposte a una situazione così grave. È chiaro che in questa città, che con la crisi è stata colpita pesantemente sul fronte occupazionale, non possiamo più permetterci di perdere attività industriali e ulteriori posti di lavoro».


Cerani, contattato al telefono, spiega quelli che secondo lui sono i motivi che hanno portato alla chiusura. Dice: «Lo Stato e le Regioni non pagano più le forniture. Avanzo 12 milioni di euro. Dopo tre anni di perdite consecutive non potendo sostenere l’azienda ho deciso di cessare l’attività industriale. Sul tavolo del prefetto cercheremo di attuare tutti gli strumenti istituzionali». E poi continua a delineare una situazione «drammatica». Denuncia: «Ho perso 8 milioni di euro in tre anni, basta leggere il bilancio. In questo ultimo periodo abbiamo venduto in perdita perché le multinazionali hanno distrutto il mercato. Oggi ho pagato l’ultimo stipendio. In passato l’ho sempre fatto con puntualità. Ma per il futuro non riesco a impegnarmi. Così ho deciso di chiudere». Poi lancia le accuse. «Nelle scorse settimane ho chiesto aiuto all’assessore regionale all’Industria, Luca Ciriani. Ma non mi ha mai risposto. Si vede che non sono degno».

Maria Belle, sindacalista della Fictem Cgil è esterrefatta. Dice: «I lavoratori facevano anche straordinario. Cerani non si è rapportato con le organizzazioni sindacali, nessuno ci ha mai detto nulla. Non è mai stato fatto alcun incontro preventivo. Questa azienda secondo noi sta sul mercato. Non conosciamo le difficoltà economiche, anche se è noto a tutti che il settore pubblico paga a 480 giorni i propri debiti. Stigmatizziamo questo modo di operare, ma questa dello Stato che ritarda i pagamenti non è una novità. Aspettiamo con ansia la convocazione dal prefetto. Sarà l’occasione per capire cosa sta succedendo. Se il settore pubblico paga con grande ritardo, mi risulta che il mercato tedesco funzioni bene».

Nel dicembre del 2006 era stata avviata, per ragioni simili, la cassa integrazione alla Diaco. Tre mesi dopo l’attività era ripresa a tempo pieno e i dipendenti erano tornati a lavorare. Ora il blackout.

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