Chissà che ne facevano di tutti quei carciofi al mercato ortofrutticolo di Campo Marzio

All'inizio degli anni ’80 una travolgente crisi adolescenziale, con forti ripercussioni sull'andamento scolastico, mi porta a debuttare precocemente nel mondo del lavoro, nella ditta di famiglia, presso il mercato ortofrutticolo di Campo Marzio, con la qualifica di aiuto facchino. All'inizio degli anni ’80 non c'era ancora l'obbligo del casco e alle 4 del mattino, con il berretto di lana in testa, spesso senza guanti, sul mio inseparabile “Vespone”, attraversavo le Rive affrontando impavido i terribili inverni triestini dell’epoca.
Sulla strada c'ero solo io e qualche camion che si recava al mercato appunto, guardavo le case, i palazzi e immaginavo di vedere le persone dormire nei loro letti e le invidiavo, fino a quando non arrivavo a destinazione pensavo di essere l'unico al mondo sveglio a quell'ora. Una volta arrivato, altro che unico sveglio, lì in quel microcosmo un sacco di persone si erano alzate molto prima di me e parlavano già ad altissimo volume, avevano già bevuto cinque o sei caffè e fumato lo stesso numero di sigarette.
La giornata iniziava nel bar della vecchia stazione ferroviaria, per alcuni la giornata iniziava, per altri finiva, dentro quel bar avveniva il passaggio di consegne della notte, tra chi aveva tirato tardi e chi invece si era alzato molto presto. D'inverno quando soffiava la bora entrare ed uscire da quel bar poteva diventare pericoloso, in quell’attraversamento pedonale, ancora oggi la bora si moltiplica, si autoalimenta, crea un vortice in grado di rovesciare decine di motocicli e cassonetti e di mettere in difficoltà chiunque non pesi almeno un quintale. È vero la bora si moltiplica e tutti lo sanno, un giorno di forte vento vengo ripreso in primo piano da una troupe del servizio pubblico e mandato in onda al telegiornale nazionale, mentre con serie difficoltà tentavo di attraversare la strada tra il mercato e il bar.
Per almeno dieci anni ogni volta che a Trieste c'era la bora il Tg1 mandava il servizio con il sottoscritto che si teneva “la baretta” con la faccia presa a prestito da un “sardone impanato”. Tutti gli anni i miei parenti pugliesi mi chiamavano preoccupati ed io: “Tranquilli, il video è dell'anno scorso è sempre quello”. Ma ritorniamo al mercato. Ore 6 arrivano i dettaglianti. L'ingresso dei clienti del mercato veniva scaglionato, prima i grossisti, poi i dettaglianti e infine il “pubblico”. I dettaglianti erano i titolari dei botteghini della città che venivano chiamati con il nome della via del proprio negozio seguito dal numero civico. E così la trattativa sui prezzi veniva fatta da Udine 44, piuttosto che Raffineria 30, oppure Istria 4, Battisti 5 e molti altri.
Pochi conoscevano i loro veri nomi e la “battaglia per conquistare la merce migliore si consumava ogni mattina alle 6, quando suonava il campanello in presenza dei vigili urbani che cercavano di regolamentare lo svolgimento della “gara”. Si aggiudicava le pesche o le fragole più belle chi per primo riusciva a piantare la lavagnetta con il proprio nome, quello della via, nella prima di una pila di cassette. Commercianti, facchini, camionisti, ragionieri, “venderigole”, vigili e produttori.
Nessuno avrebbe retto quel ritmo, quel sacrificio di svegliarsi molto prima dell'alba se non ci fosse stata la donna dei caffè. La donna affascinante che dal bar veniva in missione nella bolgia del mercato per prendere decine e decine di ordinazioni di caffè, senza mai una nota scritta. Si ricordava tutto, zuccherato, non zuccherato, capo in b, goccia in t, corretto, ristretto, ristre-ristre. Non sbagliava mai. Molti avevano il conto aperto con il bar, a fine mese solo di caffè dovevano pagare cifre da capogiro. Alcuni per troppi caffè si sono rovinati nonostante gli affari andassero bene. Alle 7.30 la fame era già tantissima e la fuga alla bottega di alimentari di Campo Marzio era imminente. Tra i “ragazzi del mercato” a volte la scommessa era per chi avrebbe mangiato il panino più grande e bevuto un quantitativo enorme di aranciata, poi rientrati, in attesa dell'orario del pubblico si consumava il torneo mondiale di digestione.
Il pubblico era composto da privati cittadini che si recavano al Mercato cercando di fare qualche buon affare, portandosi a casa grandi quantità di frutta e verdura a poco prezzo. Forse lo chiamavano pubblico perché andare al mercato era come andare a teatro, un teatro dove emergevano molto bene i caratteristi, certi personaggi che ho conosciuto erano straordinari, avevano i tempi comici perfetti, le donne le vere protagoniste.
Ancora oggi si può andare, allo stesso orario di quaranta anni fa. Dalle 9 alle 10. Durante quell'ora io sono stato spesso addetto alla vendita dei carciofi, venticinque pezzi al mazzo, si conoscevano un sacco di persone vendendo i carciofi, avevo il mio bancale e mi sentivo importante. Donne eleganti e raffinate che ti tiravano le 20 lire fino allo sfinimento e anziane pensionate con la minima che ti lasciavano la mancia solo per averle accompagnate all'automobile con la cassetta. Delle donne eleganti e delle pensionate con la minima mi sono sempre chiesto cosa ne facessero di tutti quei carciofi. Poi alle 10 me ne andavo a dormire. — © RIPRODUZIONE RISERVATA
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